Di ricerca e sperimentazione animale parliamo abbondantemente sul nostro sito. Ma chi sono i destinatari finali di questa ricerca? Parliamo con la presidente e la vicepresidente dell’associazione dedicata alla sindrome EEC, una rara malattia genetica, che ci raccontano delle attività portate avanti
Su questo sito dedichiamo moltissimi articoli alla sperimentazione animale, trattandola sotto diversi aspetti, da quelli legislativi a quelli scientifici, riportandone i numeri e presentando i metodi complementari che permettono di portare avanti una ricerca sempre migliore. Un punto fermo di ciascuno di questi testi, che abbiamo sempre evidenziato, è nel fatto che l’uso degli animali è ancora una necessità: e questo non per “la gloria” di chi fa ricerca ma per i risultati che permettono di ottenere, a vantaggio soprattutto di chi ha malattie tutt’oggi prive di cura.
Ecco perché ora vogliamo iniziare a far conoscere meglio anche la realtà di queste ultime. Partendo da una malattia che non solo è priva di cura ma pone anche una sfida aggiuntiva nel suo essere rara: si tratta della sindrome EEC, una malattia genetica a trasmissione autosomica dominante (significa che basta ereditare il gene mutato da uno solo dei due genitori perché la patologia si sviluppi). Ne parliamo con Giulia Volpato e Roberta Bresciani, rispettivamente presidente e vicepresidente dell’associazione p63 Sindrome EEC International APS Onlus.
La sindrome EEC e la nascita dell’associazione
«L’associazione è nata nel 2009 per volontà di mia madre, Cristina Bolzonella, e di altre sei donne unite dalla convinzione dell’importanza della necessità di creare conoscenza. All’epoca, il panorama italiano (e non solo) di questa patologia era estremamente limitato in termini epidemiologici e numerici: addirittura, si pensava fossi io l’unica paziente italiana», racconta Volpato. «La primissima azione della neonata associazione è stata creare un sito internet, tradotto in quattro lingue, per favorire la conoscenza e la condivisione sulla malattia. I risultati sono stati plateali, perché nell’arco di pochissimi mesi l’associazione è stata contattata da altri otto pazienti italiani».
Un certo timore nei confronti di una patologia fortemente invalidante, registri non aggiornati e diagnosi ancora limitate sono stati i fattori che avevano concorso a “nascondere” i numeri della malattia, spiega Volpato. In effetti, il gene la cui mutazione è alla base della malattia è stato individuato solo in tempi relativamente recenti, nel 2001: si tratta del gene TP63, che codifica per una proteina che ha la funzione di fattore di trascrizione, cioè che permette la trascrizione del DNA, e che svolge un ruolo fondamentale per lo sviluppo dell’ectoderma, il più esterno dei foglietti embrionali, dal quale originano i tessuti epidermico e nervoso e le strutture annesse.
La sindrome EEC è una malattia a cosiddetta “espressività variabile”: significa che la gravità è differente nelle diverse persone con la malattia. I tre sintomi distintivi sono quelli da cui deriva la sigla del nome: Ectodactyly o ecrodattilia (anomalia degli arti per cui mancano i raggi centrali della mano; a volte è presente anche la sindattilia, cioè la fusione di alcune dita tra loro); Ectodermal displasia, cioè anomalie delle strutture originanti dall’ectoderma (quindi per esempio disturbi della cute, dei capelli e dei denti, anomalie oculari o delle ghiandole esocrine, anomalie del sistema urogenitale…); e infine Clefting, ossia schisi, intesa come labiale o del palato (è la mancata fusione del palato e delle labbra, che appaiono quindi interrotti, aperti).
«Nel 2010, neanche un anno dopo la sua fondazione, l’associazione ha iniziato a raccogliere tutti i medici specialisti, a livello internazionale, creando così il primo network di esperti, formato soprattutto da genetisti e oculisti. E ha organizzato la prima conferenza sulla sindrome, riunendo il mondo medico e quello dei pazienti: è così, grazie all’occasione di condivisione con le altre famiglie, che abbiamo capito che i problemi fronteggiati da chi ha una malattia rara e dai familiari sono sostanzialmente sempre gli stessi», spiega Volpato. «Si è così sviluppata l’impostazione di lavoro dell’associazione, che si svolge su tre filoni paralleli».
Dalla ricerca all’informazione e al sostegno
«Il primo filone è quello della condivisione della conoscenza medica tra i pazienti, in modo che vi fosse il massimo scambio d’informazioni sugli specialisti e le strutture cui rivolgersi, i passaggi per arrivare a una diagnosi, le esperienze nei diversi ospedali eccetera. Vi sono poi le attività legate alla ricerca: il primo studio europeo dedicato alla patologia è partito nel 2009, in seguito alla donazione delle mie cellule. La donazione di materiale biologico da parte di altri pazienti e le collaborazioni con gli enti di ricerca e finanziamento, in particolare con l’Università di Padova e la Fondazione Banca degli Occhi, ha permesso di continuare gli studi per il trattamento di alcuni dei sintomi della sindrome EEC. Più di recente, è iniziato un progetto finanziato da Telethon sull’uso del gene editing per contrastare la progressiva opacizzazione della cornea e la perdita di vista che ne consegue», continua Volpato. «Ultimo filone di attività è quello dedicato alla comunicazione e all’informazione del pubblico generico, nel quale cerchiamo di far conoscere non solo la realtà delle malattie rare ma anche quella della ricerca in questo campo, dei suoi processi e delle sue difficoltà».
È in quest’ultimo campo che rientrano molti dei progetti portati avanti dall’associazione. L’esempio più significativo è Rareducando, un progetto nato per le scuole primarie (anche se il target si è allargato nel tempo) iniziato nel 2012: «Nel suo format originale, il progetto prevede di dare testimonianza concreta di cosa siano le malattie rare, portando ragazze e ragazzi nel quotidiano delle persone che vi convivono. Il progetto è andato via via estendendosi, tanto che l’Università di Catania ci ha chiesto di organizzarlo anche in modo specifico per la facoltà di Medicina. Nel 2015 gli abbiamo dato una doppia aggiunta, creando un format di quattro incontri che toccano anche gli aspetti del bullismo e della ricerca (su questi ultimi è stato coinvolgo anche il portavoce di Research4Life Giuliano Grignaschi). E nel 2021 è stato ulteriormente ampliato e abbiamo creato anche una versione per adulti, perché ci siamo rese conto che solo persone adulte formate e consapevoli possono trasmettere le conoscenze e le sensibilità alle generazioni più giovani», spiega Volpato. «È nato così RED (Rareducando Educazione Digitale), finanziato nell’ambito di Erasmus + e disponibile in lezioni video in tre lingue».
Oltre alle varie attività portate avanti a scopo informativo e di sensibilizzazione, l’associazione ha creato il Centro Servizi Malattie Rare (CSMR) nel 2015, che nel 2018 ha avuto anche la sua sede fisica. «Si tratta di un servizio di orientamento per chi riceve una diagnosi o un sospetto di diagnosi, cui forniamo consulenze specialistiche a tariffe agevolate (i servizi del CSMR sono invece gratuiti)», spiega Roberta Bresciani, principale referente del servizio. «Per far fronte al grandissimo numero di richieste, alla prima sede di Padova se n’è aggiunta una seconda a Chioggia e, a gennaio 2024, inaugureremo la terza sede a Pieve di Cadore».
Le attività sono supportate principalmente dai fondi dei bandi regionali e nazionali (e internazionali, nel caso di RED) e, soprattutto per quanto riguarda la ricerca e le spese sostenute dai pazienti, da donazioni e 5×1000. Contributi essenziali per una realtà non solo fondamentale, nel suo ruolo di aggregazione e sostegno di persone con malattie che rischiano di restare “orfane”, ma anche vivace ed estremamente attiva per coinvolgere e avvicinare a questi temi anche chi non li vive in prima persona.
«I modelli animali per lo studio di questa patologia non sono ritenuti necessari, e dunque oggi non ne esistono: ci auguriamo che la situazione rimanga tale e sia possibile per la ricerca trovare le risposte necessarie per i pazienti con sindrome EEC senza mai dovervi fare ricorso. Research4Life è da tempo al fianco dell’associazione in maniera attiva, cercando di contribuire a coordinare gli sforzi e creare rete», commenta Giuliano Grignaschi, portavoce di Research4Life. «Ogni patologia però è ugualmente importante per noi, che sia rara o che sia molto diffusa, e deve quindi poter contare sulle stesse possibilità di ricerca: se un domani dovesse rivelarsi indispensabile un modello animale anche per questa sindrome, dovrà essere possibile farvi ricorso».