È stato eseguito il primo xenotrapianto, cioè trapianto da una specie diversa dalla nostra, di rene su un paziente vivo. Il Massachusets General Hospital, dove è stato condotto l’intervento, riporta le buone condizioni del paziente. È una pietra miliare per la medicina, che potrebbe aprire la strada alla salvezza di migliaia di persone in attesa di trapianto. Eppure, in Italia questo tipo di studi potrebbe essere bloccato
È un intervento storico quello eseguito dai medici del Massachusets General Hospital (MGH), che hanno per la prima volta trapiantato un rene di maiale, modificato geneticamente per evitare il rigetto, in un paziente vivo.
L’intervento, durato quattro ore, è stato eseguito sabato 16 marzo e, secondo il comunicato rilasciato ieri dall’ospedale, ha avuto successo. Successo che, come ha dichiarato Tatsuo Kawai, direttore del Legorreta Center for Clinical Transplant Tolerance e tra i medici che hanno condotto l’intervento, «È il risultato degli sforzi di migliaia di medici e scienziati portato avanti nel corso di vari decenni. La nostra speranza è che questo approccio trapiantologico possa offrire un’ancora di salvezza ai milioni di pazienti che, in tutto il mondo, soffrono d’insufficienza renale».
Perché lo xenotrapianto
L’idea di usare organi provenienti da altri animali per i trapianti umani non è nuova, e la ricerca negli ultimi anni ha fatto significativi passi avanti in questo senso. Come avevamo raccontato su Research4Life, per esempio, appena due anni fa era stato eseguito con successo il primo xenotrapianto di rene in una donna dichiarata cerebralmente morta: un’operazione di successo, anche se il rene suino era stato mantenuto al di fuori del corpo della paziente.
L’importanza di questa strategia di trapianto deriva dalla grave mancanza di organi umani disponibili per i pazienti che ne hanno bisogno: nella sola Italia, per esempio, il Sistema Informativo Trapianti riporta a oggi una lista d’attesa di quasi 8.000 pazienti, per un totale di oltre 9.000 iscrizioni (alcune persone sono infatti in attesa di più di un organo).
A fronte di una richiesta così vasta e urgente, la possibilità d’impiegare organi di altre specie rappresenta una soluzione salvavita per moltissime persone. I maiali si sono rivelati nel tempo la specie più idonea allo scopo, perché i loro organi, soprattutto quelli di alcune razze, hanno dimensioni e struttura molto simili a quelli umani.
Editing genetico per evitare infezioni e rischio di rigetto
Tuttavia, vi sono (erano?) alcuni limiti da superare per impiegarli con successo nello xenotrapianto. I principali sono il rischio che il sistema immunitario umano riconosca gli organi come estranei e li attacchi, causando il rigetto, e la presenza di retrovirus in grado di infettare gli esseri umani.
Entrano qui in gioco gli avanzamenti nel campo dell’editing genetico, che stanno permettendo di superare anche questi problemi. Modificando in modo mirato il DNA suino, infatti, è possibile rimuovere i virus e le proteine responsabili della risposta immunitaria. Il rene usato dai medici del Massachusets General Hospital, infatti, proviene da un maiale il cui genoma è stato modificato con la tecnica CRIPR-Cas9 dall’azienda eGenesis e nel quale, oltre alla rimozione e inattivazione dei geni legati al rischio di rigetto e delle sequenze retrovirali, sono stati aggiunti specifici geni che promuovono la compatibilità con l’organismo umano.
Il rene si è mostrato in grado di funzionare bene: ha cominciato a produrre urina poco dopo il trapianto, scrive il New York Times, e i medici si aspettano di poter dimettere presto il paziente, Richard Slayman. Quest’ultimo, che soffriva d’ipertensione e diabete di tipo 2, era già stato sottoposto a trapianto nel 2018, dopo molti anni di dialisi. Circa cinque anni dopo, però, sono apparsi i sintomi d’insufficienza renale e, nel maggio 2023, Slayman aveva dovuto ricominciare la dialisi, che aveva portato a una serie di complicanze cardiovascolari che richiedevano visite continue all’ospedale. Così si è arrivati all’intervento di xenotrapianto, eseguito nell’ambito di uno specifico protocollo dell’FDA, l’ente regolatorio statunitense, che consente a pazienti con malattie che ne pongono a rischio la vita di accedere a trattamenti sperimentali, in assenza altre comparabili.
Una pietra miliare per la medicina
«Questo è un passo davvero importante, ma per per arrivare fin qui ci è voluta tantissima ricerca e molto coraggio, con risultati deludenti sulle prime, tanto che questo approccio stava per essere abbandonato. Ma la ricerca ha continuato a progredire e qualcuno non ha smesso di crederci, e ora si può davvero fare. Ci vorranno ancora molti anni e molta ricerca – al di là dei problemi tecnici, i costi per adesso sono proibitivi – ma un giorno questo approccio potrebbe liberare gli ammalati dalla dialisi», commenta Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri, soggetto aderente a Research4Life.
«Settant’anni dopo il primo trapianto di rene e sessanta dopo l’introduzione dei trattamenti con immunosoppressori, siamo a una svolta monumentale nel campo dei trapianti. Solo all’MGH ci sono oltre 1.400 pazienti in lista d’attesa per un trapianto di rene. Purtroppo, alcuni di loro moriranno o diventeranno troppo malati per poter accedere al trapianto, a causa del lungo tempo d’attesa sulla dialisi», ha commentato Leonardo Riella, direttore medico per il Trapianto Renale del MGH e uno dei medici che ha guidato l’intervento. «Sono fermamente convinto che la xenotrapiantologia rappresenti una soluzione promettente alla crisi di carenza di organi».
La pietra miliare posta dall’intervento eseguito al MGH è accompagnata da studi sempre più incoraggianti nell’ambito degli xenotrapianti. A luglio 2023, sul Lancet è apparso uno studio che descrive i risultati di uno xenotrapianto di cuore, sempre da un maiale geneticamente modificato; intervento eseguito poi anche a ottobre nell’Università del Maryland. Entrambi i pazienti sono morti alcune settimane dopo l’intervento, in un caso per l’insorgenza improvvisa d’insufficienza cardiaca mentre nell’altro vi sono stati segni di rigetto: per circa 6-7 settimane, tuttavia, i cuori trapiantati si sono mostrati funzionanti; va anche considerato che entrambi i pazienti erano in condizioni molto gravi. Ed è di pochi giorni fa la notizia del primo xenotrapianto di fegato suino, eseguita su un paziente dichiarato clinicamente morto: l’organo ha funzionato per dieci giorni.
Sono dati profondamente incoraggianti su quella che potrebbe, un giorno, essere la risposta alla gravissima carenza d’organi per chi ha bisogno di un trapianto. Nel nostro Paese, tuttavia, la ricerca in questo campo potrebbe presto non poter essere portata avanti: l’Italia ha infatti recepito la Direttiva UE sull’uso degli animali a fini scientifici introducendo due ulteriori limitazioni, cioè vietando l’uso di animali negli studi sia sulle sostanze d’abuso sia per gli xenotrapianti d’organo. L’applicazione del divieto è stata posticipata più volte e, al momento, la sua entrata in vigore è prevista per luglio 2025.
«Ancora una volta, la cronaca ci mette di fronte all’evidenza del fatto che questo tipo di ricerca sta andando avanti in tutto il mondo, con risultati molto promettente. In Italia, invece, i divieti pongono un limite sostanziale al mondo della ricerca, con l’unico risultato possibile che dovremo acquistare i risultati di questi studi da altri Paesi – risultati comunque ottenuti con l’uso di animali», commenta Giuliano Grignaschi, portavoce di Research4Life. «Il divieto di usare animali per gli xenotrapianti e gli studi sulle sostanze d’abuso è insensato, perché non sono campi di ricerca differenti da altri che usano gli animali. E, se è del tutto legittimo porsi dei problemi etici sull’allevamento di animali al solo scopo di prelevarne poi gli organi, dovremmo allora riflettere anche sui molti allevamenti da carne, nei quali oltretutto le condizioni di vita degli animali possono essere ben peggiori. Soprattutto, una riflessione etica coerente dovrebbe chiedersi se sia giusto fermare una ricerca che potrebbe salvare migliaia di persone, svantaggiando un gruppo di pazienti per mere ragioni politiche. La ricerca biomedica dovrebbe poter garantire la stessa dignità a tutte le persone malate».
Nell’immagine di copertina: i chirurghi del MGH e lo xenotrapianto. Crediti: Massachusets General Hospital