I cani possono essere un ottimo modello per malattie complesse e multifattoriali come l’obesità, anche perché condividono il nostro stesso ambiente. Uno studio sui Labrador retriever ha identificato un gene legato a questa condizione e condiviso tra le due specie, aprendo nuove prospettive per la ricerca su questa malattia
L’obesità non è solo una patologia cronica ma anche una pandemia silenziosa e in crescita: secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, le persone adulte con obesità sono più che raddoppiate dal 1990 a oggi, e gli adolescenti sono addirittura quadruplicati.
Ma cosa succede se, per capire meglio questa malattia, ci affidiamo non ai soliti topi da laboratorio, ma ai cani? Uno studio da poco pubblicato su Science ha analizzato i Labrador retriever come modello per l’obesità, evidenziando ancora una volta come in alcuni contesti i cani, e soprattutto i pet che vivono con noi, possano essere fondamentali per lo studio della biologia. Per noi umani, ma anche per i cani stessi.
Perché i cani come modello per l’obesità umana?
Il nuovo studio esce a pochi giorni dalla pubblicazione sul Lancet di un articolo secondo cui oltre la metà della popolazione globale potrebbe essere sovrappeso oppure obesa entro il 2050. L’obesità è una malattia molto complessa, che aumenta il rischio di diverse altre patologie (dal diabete allo sviluppo di alcuni tumori) e le cui cause chiamano in gioco fattori non solo genetici ma anche ambientali, psicologici e sociali.
Per tutte queste ragioni, la ricerca scientifica sulle cause, i meccanismi e i possibili trattamenti per l’obesità è molto attiva. I modelli animali sono in questo contesto un aiuto prezioso, perché sono l’unica possibilità per rappresentare in modo realistico la complessità e la multifattorialità della malattia. Come per molte altre patologie, i ratti e, soprattutto, i topi sono le specie più utilizzate: dei secondi, in particolare, esistono diversi modelli geneticamente modificati per rappresentare l’obesità, e alcuni ceppi degli uni e degli altri sviluppino in modo spontaneo questa condizione.
Ma lo studio dei cani offre dei vantaggi in più. Questi animali condividono con noi non solo l’ambiente, ma anche un enorme numero di geni: è proprio per questo che, come avevamo raccontato qualche tempo fa, sono un modello prezioso per esempio per lo studio dei tumori spontanei. Per quanto riguarda lo studio dell’obesità, ci sono alcuni ulteriori elementi che rendono i cani preziosi: la creazione delle razze che conosciamo oggi ha creato popolazioni più omogenee dal punto di vista genetico e questo ha portato anche, per alcune razze, alla maggior frequenza di alcune patologie genetiche – obesità compresa.
In effetti, si stima che il 40-60% dei cani di proprietà sia obeso, condizione che, come avviene per noi, li espone a ulteriori rischi per la salute. In molti casi, si possono osservare gli stessi fattori di rischio che si osservano per la nostra specie: scarso esercizio fisico e facile accesso al cibo. Una razza, in particolare, è particolarmente prona all’obesità e manifesta in genere un’alta motivazione legata al cibo: il Labrador, che infatti è stato scelto per il nuovo studio.
Una vasta analisi genetica nei cani
Il gruppo di ricerca che ha firmato il nuovo studio ha indagato 241 Labrador adulti, sia pet (cani di famiglia) sia da lavoro, per i quali ha innanzitutto condotto una serie di valutazioni sulla massa grassa e il livello di esercizio fisico e motivazione per il cibo, anche attraverso questionari per i proprietari. Ha poi raccolto campioni di DNA dalla saliva dei cani per condurre una Genome Wide Association Analysis (GWAS): si tratta di uno studio di associazione su scala genomica che analizza le variazioni genetiche tra individui per identificare le regioni del DNA associate a una determinata caratteristica o malattia.
In pratica, questo tipo di analisi confronta il genoma di migliaia (o milioni) di individui, cercando correlazioni tra specifiche varianti genetiche e un fenotipo di interesse, in questo caso l’obesità. È così possibile individuare regioni genomiche che influenzano il tratto studiato.
I risultati dell’indagine hanno evidenziato diversi geni correlati all’obesità e condivisi tra umani e cani. In particolare, il gruppo di ricerca ha identificato la variante del gene DEN (DENND1B), un gene coinvolto nella regolazione di una proteina nota per il suo ruolo nel controllo dell’appetito e del metabolismo energetico, come la più strettamente associata all’obesità nei cani: ogni copia dell’allele associato all’obesità comportava un aumento del 7% della massa grassa. È un’associazione che è stata confermata anche negli umani, suggerendo che possa avere un ruolo conservato nell’equilibrio energetico e nella regolazione dell’appetito e confermando che l’obesità nei Labrador retriever condivide basi genetiche con quella umana, rendendo i cani un modello valido per lo studio della malattia.
Il gruppo di ricerca ha anche evidenziato come il ruolo del proprietario sia cruciale nel mantenere i cani normopeso: per chi ha una gestione più attenta in termini di dieta e attività fisica, i cani tendono a mantenere un peso più sano. È un’ulteriore conferma della complessa interazione tra genetica e ambiente che influenza l’obesità, in analogia ai risultati degli studi condotti sugli umani che mostrano come, laddove il cibo è abbondante, un aumento di appetito aumenta anche il rischio di sviluppare questa patologia. Un elemento che, nella gestione del peso, non può essere trascurato.
Insomma, cani e umani condividono più di una semplice convivenza: le nostre storie genetiche si intrecciano, rivelando che le chiavi per comprendere malattie complesse come l’obesità possono trovarsi anche accanto a noi. Comprendere le basi genetiche dell’obesità non significa solo affrontare una condizione sempre più diffusa, ma anche aprire la strada a strategie di prevenzione e trattamento più efficaci, capaci di migliorare la vita di milioni di persone – e dei loro cani.