I divieti italiani sulla sperimentazione animale relativi a xenotrapianti e sostanze d’abuso rappresentano un’anomalia rispetto alla normativa europea, senza fondamento scientifico né etico. In questo Q&A chiariamo perché Research4Life ritiene che, oltre a ostacolare la ricerca biomedica italiana, discriminino alcuni pazienti

Quali sono i divieti italiani sulla sperimentazione animale aggiuntivi rispetto alla Direttiva EU?

Sono in particolare due, relativi all’uso di animali per:

  • gli studi sugli xenotrapianti d’organo
  • gli studi sulle sostanze d’abuso (attenzione, perché non si riferisce solo a quelle note genericamente come “droghe”).

Questi divieti sono stati inseriti nel decreto legislativo 26/2014, con il quale l’Italia ha recepito la Direttiva 2010/63/EU per la tutela degli animali usati a fini scientifici. Nella Direttiva europea i divieti non sono presenti: la loro introduzione riguarda soltanto il nostro Paese. Non sono però mai stati applicati, almeno per ora: dopo essere stata rimandata con cadenza quasi annuale fin dal 2014, la loro entrata in vigore è prevista per il 1 luglio 2025.

I divieti hanno ragioni scientifiche?

No, sono stati introdotti per ragioni essenzialmente politiche. Nessuno dei due campi di studio in questione, infatti, richiede procedure più gravi e invasive, né causa maggior sofferenza agli animali, rispetto a moltissimi altri campi della ricerca biomedica. E non abbiamo a oggi metodi alternativi che consentano di evitare l’uso di animali in questi contesti, anche perché

  • gli xenotrapianti sono i trapianti tra specie differenti (in medicina, in particolare, sono da maiali a esseri umani); per definizione intrinseca, quindi, l’animale è insostituibile
  • i disturbi da uso di sostanze, quelli genericamente chiamati “dipendenze” sono molto complessi e le cause intrecciano fattori genetici, epigenetici e ambientali (come le esperienze vissute e il contesto sociale) che nessun metodo alternativo può replicare.

Davvero non esistono metodi alternativi che potrebbero essere usati in questi campi?

Purtroppo no, non esistono. Oggi si parla molto di organoidi, particolari modelli in vitro il cui nome potrebbe far pensare a piccoli organi, magari utilizzabili per i trapianti. Ma è un nome ingannevole: gi organoidi sono modelli che ricapitolano alcune caratteristiche chiave di determinati organi (perfino del cervello), ma mancano anche di molti elementi essenziali. Solo per fare un esempio, spesso non sono vascolarizzati. Certo, sono modelli avanzati che possono anche essere “combinati” per simulare meglio la realtà del corpo umano, ma assolutamente insufficienti per sostituire un organo disfunzionale – né, d’altronde, sono stati sviluppati a questo scopo.

Per quanto riguarda i disturbi da uso di sostanze (le “dipendenze”) e i test sui farmaci in grado di raggiungere il cervello, la situazione è se possibile ancora più complessa. Di base, nessun modello in vitro è in grado di replicare la complessità del sistema nervoso umano, e tantomeno la sua interazione con l’ambiente esterno. Basti pensare all’impossibilità di replicare i legami sociali (con la famiglia e gli altri membri del gruppo sociale), le differenze tra i sessi, i meccanismi genetici che possono entrare in gioco nello sviluppo delle dipendenze.

E poiché non vi è alcun metodo alternativo che consenta di portare avanti gli studi in questi campi in assenza di animali, l’entrata in vigore dei divieti implica l’arresto completo della ricerca biomedica per gli studi sugli xenotrapianti d’organo e le sostanze d’abuso (oltre che i test farmacologici sui possibili trattamenti per molte patologie).

Perché Research4Life sostiene che questi divieti siano contrari all’etica?

Riteniamo che questi divieti non solo non abbiano valide motivazioni scientifiche, ma nemmeno ne abbiano di etiche. Infatti, permettere la sperimentazione animale in ogni altro campo significa consentire gli avanzamenti per alcune patologie e necessità mediche, escludendo i casi specifici di chi ha bisogno di un trapianto d’organo e di chi soffre di disturbi da uso di sostanze, senza contare l’arresto dei test farmacologici che potrebbero aiutare il trattamento d’innumerevoli patologie. Per noi, questo significa creare pazienti di serie A e serie B, e lo riteniamo inaccettabile.

È vero, la ricerca in questi campi può continuare – ovviamente – a svolgersi all’estero. Ma, al di là di ogni problema di competitività della ricerca italiana, questo può avere ripercussioni significative anche per i pazienti nel nostro Paese: per esempio, può richiedere che si spostino all’estero per le cure (una possibilità che non tutte le persone avranno, a creare ulteriore discriminazione), che in Italia non vi possa essere il controllo dei risultati ottenuti altrove, che l’importazione determini costi aggiuntivi (che, di nuovo, si ripercuotono sui pazienti).

Infine, ci sembra che aspettare di usufruire della ricerca condotto altrove, rifiutando di condurla in Italia, rappresenti un atteggiamento di mancanza di assunzione delle responsabilità. Se abbiamo le capacità di studiare queste patologie e necessità mediche, abbiamo anche il dovere di farlo: non è corretto, dal punto di vista etico, delegare altrove il compito, senz’altro impegnativo dal punto di vista morale, di usare gli animali usufruendo poi dei risultati ottenuti.

Perché il divieto di usare gli animali per gli studi sulle sostanze d’abuso non è un problema legato solo alle dipendenze?

Perché la legge prevede che ogni farmaco in grado di attraversare la barriera ematoencefalica e raggiungere il cervello sia testato per il suo potenziale d’abuso (in breve, la capacità di indurre una dipendenza). Tali farmaci non sarebbero esclusi dal divieto. Tra questi vi sono per esempio i forti analgesici usati per il trattamento del dolore in condizioni come quelle oncologiche, i farmaci per il trattamento di malattie neurodegenerative (come il Parkinson e l’Alzheimer), e ancora quelli per disturbi psichiatrici come la depressione e i disturbi d’ansia. Se il divieto permane, dovremo interrompere la ricerca anche per alcuni trattamenti di queste patologie.

Non vi sembra ingiusto usare gli animali per studiare le dipendenze, dei vizi umani?

Attenzione: le dipendenze non sono vizi ma malattie a tutti gli effetti, riconosciute a livello internazionale come patologie psichiatriche molto complesse (oggi il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, noto in sigla come DSM, parla di “disturbi da uso di sostanze”, ulteriormente suddivisi in vari sottotipi come per esempio il disturbo da uso di alcol).

Oltre che complesse, sono patologie che hanno un enorme peso sulla vita di chi ne soffre e delle persone che gli o le sono vicine; hanno anche un importante costo economico per la sanità, sia diretto sia indiretto (si pensi per esempio agli incidenti che alcune dipendenze possono causare).

Gli animali sono spesso usati in ricerca per studiare patologie (e relativi trattamenti) che nella loro specie non si presentano: in questo senso, il disturbo da uso di sostanze non presenta in realtà alcuna differenza. Sono relativamente rari i casi di specie che sviluppano spontaneamente patologie che si presentano anche negli umani (e, in questo caso, gli individuo con la malattia devono essere incrociati in modo selettivo per permettere agli studi di continuare).

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