Un nuovo studio dimostra per la prima volta il contagio di sbadiglio nei pesci, grazie all’analisi video con intelligenza artificiale. Il protagonista? Lo zebrafish

Spesso, quando si parla di sperimentazione animale, si pensa ai test per nuove terapie, oppure allo studio del ruolo di specifici geni, o ancora alla ricerca dedicata ai meccanismi patologici. E, sia chiaro, gran parte della ricerca ha proprio questi obiettivi: ma questo quadro è tutt’altro che completo. In effetti, nella sperimentazione animale rientrano molti tipi di ricerche, comprese quelle dedicate a capire il comportamento animale. È questo il campo di studio dell’etologia, che permette di comprendere il comportamenti di animali umani e non umani nel loro contesto evolutivo e ambientale, rivelando meccanismi adattativi fondamentali per la sopravvivenza, la comunicazione, la vita sociale. A volte anche inaspettati: per esempio, vi siete mai chiesti a cosa serva lo sbadiglio?

Un recente studio, pubblicato su Communications Biology, indaga questo comportamento nello zebrafish, un modello animale cui abbiamo dedicato da poco un approfondimento. E i suoi risultati aprono a riflessioni affascinanti sull’origine evolutiva del contagio comportamentale.

Pesci che sbadigliano

Lo sbadiglio è un comportamento apparentemente semplice e automatico, che ciascuno di noi mette in atto più volte ogni giorno. Eppure, ci sono molti aspetti dello sbadiglio che rimangono oscuri. Per esempio, non è ben chiaro a cosa serva lo sbadiglio spontaneo (tra le ipotesi suggerite, vi è che aiuti ad abbassare la temperatura cerebrale, oppure che aiuti a fornire più ossigeno al cervello). Qualche informazione in più inizia a essere raccolta per lo sbadiglio da contagio, ossia lo sbadiglio che insorge quando si percepisce sbadiglio di un altro individuo: vari studi hanno osservato come a volte sia più frequente quando i due soggetti che interagiscono condividono un legame (di amicizia o familiarità), e come nelle specie sociali possa essere un modo per sincronizzare e coordinare le azioni successive. Già, perché c’è un altro aspetto noto e tutt’altro che irrilevante che conosciamo dello sbadiglio da contagio: è un comportamento estremamente diffuso, che si osserva non solo nell’essere umano e nei primati ma anche, per esempio, nei cani (che possono essere “contagiati” dal proprietario), nei lupi, in varie specie di uccelli.

Il nuovo studio aggiunge una specie alla lista degli sbadigliatori contagiosi: lo zebrafish. E lo fa a partire da una domanda: ma i pesci sbadigliano?

In effetti, la questione non era così chiara. Sebbene la letteratura scientifica riporti la presenza di sbadiglio nei pesci, le prove rimanevano limitate. D’altronde, come si può intuire, stabilire se un pesce sbadigli o meno è tutt’altro che facile, dal momento che questi animali boccheggiano per respirare. Come distinguere, allora, tra una bocca che si apre per respirare e una che lo fa per sbadigliare?

L’IA che analizza gli sbadigli

«Per rispondere ci siamo avvalsi dell’aiuto dell’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna, grazie alla collaborazione con il professor Donato Romano. Innanzitutto, abbiamo raccolto dei video di alta qualità di vari zebrafish e ne abbiamo analizzato con attenzione i movimenti, individuando le caratteristiche che distinguono lo sbadiglio dalla respirazione e che riguardano soprattutto ampiezza e durata nei movimenti mandibolari», spiegano l’etologa Elisabetta Palagi e il biologo dello sviluppo Massimiliano Andreazzoli, entrambi professori all’Università di Pisa e autori dello studio. «Quindi abbiamo usato queste informazioni per il training di un sistema di intelligenza artificiale (per la precisione, una rete neurale profonda), cui abbiamo fatto analizzare un grande quantitativo di frame estratti dai video in cui gli zebrafish respiravano o sbadigliavano. Le immagini comprendevano varie fasi dell’atto (per cui anche i momenti in cui la bocca iniziava ad aprirsi o si chiudeva) ed erano stati raccolti in vari momenti della giornata, bilanciando anche tra maschi e femmine rappresentati».

In breve: stabilita sperimentalmente la presenza di sbadiglio nello zebrafish, autori e autrici dello studio hanno insegnato a un’IA a distinguerli, facendo analizzare al sistema una vastissima quantità di immagini dei pesci.

«In questo processo abbiamo osservato anche un altro elemento interessante: la metà circa degli sbadigli osservati sono accompagnati da pandiculazione o yawn stretching syndrome. È l’equivalente del nostro stiracchiarci quando sbadigliamo: anche lo zebrafish abbassa la coda e apre tutte le sue pinne, con un pattern che interessa tutto il corpo», spiegano Palagi e Andreazzoli. Di solito, continuano, alla pandiculazione segue un cambio comportamentale (come un cambiamento di direzione); questo suggerisce che lo sbadiglio possa essere legato a transizioni di stato fisiologico o motorio, come avviene nei mammiferi: noi, infatti, sbadigliamo per esempio passando dal sonno alla veglia, o quando iniziamo ad annoiarci.

Sbadiglio contagioso, anche per lo zebrafish

Il passaggio successivo è stato cercare di capire se anche nello zebrafish si verificasse quanto già osservato in molte altre specie, ma certo mai nei pesci: il contagio di sbadiglio. Come abbiamo accennato, la questione non è oziosa, perché questo comportamento è presente in varie specie e presumibilmente ha un suo valore evolutivo. Come la sincronizzazione sociale e il contagio emotivo, due aspetti fondamentali per la coesione e il coordinamento nei gruppi sociali.

Il gruppo di ricerca ha quindi presentato a vari zebrafish i video dei loro consimili mentre sbadigliano e mentre si limitano a respirare, registrando la reazione. «Abbiamo così osservato che i pesci sbadigliano di più quando vedono un altro zebrafish che sbadiglia. Mentre, come ci si poteva attendere, la frequenza della respirazione rimaneva immutata quando veniva presentata loro la registrazione di un altro individuo che boccheggia», racconta Alice Galotti, dottoranda dell’Università di Pisa e prima autrice dello studio. «Significa che sono capaci di una mimica motoria legata a un comportamento automatico».

Il ruolo del contagio di sbadiglio in un gruppo sociale andrà ora dimostrato: nel caso dello zebrafish, potrebbe contribuire allo schooling, un comportamento sociale di pesci che nuotano in gruppo, mantenendo coordinamento spaziale e direzionale con gli altri individui.

Empatia, evoluzione e altre domande aperte

Un altro aspetto interessante da indagare è se il contagio di sbadiglio dello zebrafish possa rappresentare una forma basilare di contagio emotivo, che a sua volta sarebbe una forma basilare dell’empatia. Insomma, potremo forse parlare di empatia – quella capacità tanto a lungo considerata esclusivamente umana ma oggi riconosciuta in varie altre specie – anche nei pesci?

«Si aprono anche delle domande dal punto di vista evolutivo: non sappiamo, infatti, se il contagio di sbadiglio sia un tratto antico comune a tutti i vertebrati, che però è stata persa da alcune linee evolutive nel corso del tempo, oppure se sia frutto dell’evoluzione convergente, emerso in modo indipendente in alcune, anzi molte, specie sociali», commentano Palagi e Andreazzoli.

Infine, c’è un aspetto pratico che questa ricerca può favorire. Come avevamo raccontato, la socialità dello zebrafish unita alla possibilità di manipolazioni genetiche lo ha reso una ottima specie modello anche per studiare alcuni aspetti neurosviluppo, come i disturbi dello spettro autistico. «Per questi animali abbiamo a disposizione diversi test comportamentali che ci permettono di osservare eventuali tratti di somiglianza con le persone con autismo. Per esempio, in un test classico, due zebrafish sono posti nella stessa vasca, separati da una barriera trasparente. In condizioni fisiologiche, i due individui si avvicinano e si allineano secondo un angolo preciso; quando però si modificano alcuni geni coinvolti in alcune forme di autismo, questo non avviene», concludono Palagi e Andreazzoli. «Sappiamo che spesso nelle persone con autismo il contagio di sbadiglio è alterato. Nel modello di zebrafish, questo test potrebbe arricchire la batteria sperimentale, offrendoci la possibilità di ulteriori valutazioni del comportamento».

Lascia un commento