Riprendiamo a guardare il report UE, pubblicato in estate, che riporta i dati sugli animali impiegati a scopo scientifico nel 2019: qual è la situazione italiana? Quanti animali sono stati impiegati e a quali scopi? Con che differenze rispetto agli anni precedenti?
Dopo aver riportato i principali dati sul numero di animali e le specie usate a scopo scientifico nel 2019 in UE e le categorie d’impiego, andiamo ora a dare un’occhiata alla terza parte del report pubblicato quest’estate, nel quale sono raccolte le informazioni provenienti dagli Stati membri e dalla Norvegia (inserita a partire dallo scorso anno mentre, vale la pena ricordarlo, dal prossimo saranno esclusi i dati della Gran Bretagna).
Questa terza parte del documento riporta i dati dei singoli Stati: cosa si può osservare per l’Italia?
In generale, gli animali impiegati per la prima volta sono 542.903. I dati sono raccolti dal Ministero della Salute, in particolare dall’Ufficio 6-Tutela del benessere animale, igiene zootecnica e igiene urbana veterinaria della Direzione generale della sanità animale e dei farmaci veterinari che, spiega, il totale sale a 548.933 se si tengono in considerazione anche gli animali impiegati per il mantenimento e la creazione delle linee transgeniche (che l’UE conteggia a parte). Confrontando questo totale “aggregato” con quello degli anni precedenti, possiamo osservare che il numero di animali usati in Italia è in calo.
Per quanto riguarda le specie impiegate, roditori e conigli sono i più coinvolti e rappresentano oltre l’80% del totale. L’impiego dei primati non umani avviene quasi esclusivamente (per il 99%) per rispondere alla legislazione UE e alle leggi internazionali per scopi regolatori, in particolare i test di tossicità e sicurezza; va anche notato che la maggioranza dei primati non umani impiegati del 2019 era di seconda generazione (o superiori), e i restanti sono di prima generazione: un dato che va dunque nella direzione dell’obiettivo europeo di basarsi sempre più su colonie auto-sostenute in cattività, annullando i prelievi in natura.
Andando quindi a vedere le principali categorie d’impiego in Italia, si osserva che, in linea con il resto dell’UE, la ricerca (di base e applicata) rimane l’ambito che più necessita di modelli animali; segue appunto l’impiego a scopi regolatori. Nel grafico seguente, il confronto rispetto a Germania e Francia, mostra tuttavia come per questi Paesi la ricerca, soprattutto quella di base, risulti ben più coinvolta. Come già per i dati dello scorso anno, quindi, sembra che la riduzione degli animali usati in Italia avvenga soprattutto a carico della ricerca di base, sulla quale purtroppo i nostri investimenti risultano limitati rispetto ad altri Paesi europei.
Vale la pena notare che gli animali impiegati in Germania e Francia sono molto più numerosi di quelli italiani: il totale per la Germania è infatti di 1.811.270, per la Francia 1.738.756. Questo significa anche che gli impieghi per le diverse categorie sono, in assoluto, più bassi in Italia – in altre parole, la ricerca di base italiana rappresenta, di fatto, circa la metà di quella tedesca. «È davvero doloroso vedere come anche questi dati confermino il trend negativo della ricerca biomedica italiana, che tende infatti ad abbandonare il nostro Paese contribuendo alla “fuga dei cervelli”», commenta infatti Giuliano Grignaschi, portavoce di Research4Life.
Per quanto riguarda la gravità delle procedure, si osserva che il “non risveglio” è circa 6% degli animali impiegati, quindi in linea con la media europea; invece, le procedure classificate come “gravi” sono il 20%, mentre per la media europea sono il 9% – e si tratta di una percentuale in aumento nel corso degli anni. Il report riporta anche che tali procedure “gravi” riguardano per la gran parte (79%) i topi.
Infine, qualche parola sul riutilizzo degli animali, uno dei principi alla base delle 3R (replacement, reduction, refinement): come abbiamo già ricordato in merito ai dati dello scorso anno, si tratta di un aspetto dibattuto, perché ridurre il numero degli animali impiegati significa aumentare la sofferenza (in termini di stress per le procedure ripetute) sul singolo individuo. Pertanto, gli enti italiani di riferimento ritengono eticamente più accettabile aumentare il numero di animali impiegati, causando però loro minor stress e sofferenza. In Italia, i riutilizzi nel 2019 sono infatti l’1,3% del totale, una percentuale più bassa rispetto, per esempio, a Germania e Francia.