Giuliano Grignaschi, portavoce di Research4Life, spiega come si studiano gli stati d’ansia nei roditori: test semplici, ma che richiedono di prestare grande attenzione alle variabili che possono influenzarne i risultati

Non è facile immaginarsi un topo ansioso, né tantomeno è immediato pensare che possa essere un buon modello per l’essere umano. Eppure, i roditori sono molto utilizzati nello studio di patologie mentali come i disturbi d’ansia e la depressione, soprattutto per indagare i meccanismi molecolari che le mediano.

Ma come si studia l’ansia in un roditore?

I test non sono complicati: ciò che, invece, non è semplice è avere la certezza di controllare tutte le variabili che possono influenzare il risultato degli studi.

Partiamo dall’inizio: i test si basano sulla naturale avversione dei roditori per gli spazi aperti e molto illuminati. I roditori infatti sono animali a vita notturna e non amano muoversi di giorno, quando è anche maggiore il rischio di essere predati; amano inoltre vivere in gruppi numerosi e in spazi angusti, dove si stringono e ammucchiano uno sull’altro. Quando escono dalla loro tana esplorano l’ambiente iniziando dal perimetro (lungo i muri) per poi, piano piano, spostarsi verso il centro. I test per valutare il livello di ansia quindi si basano su questa loro naturale avversione per la luce e per gli ampi spazi aperti, che risulta notevolmente aumentata quando gli animali sono in condizioni di stress.

Un primo modello, molto semplice, è chiamato Open Field. Ne esistono numerose versioni ma il principio è sempre lo stesso: il roditore viene posto nell’angolo di un box più o meno grande e si misura il tempo speso a esplorare il perimetro e quello speso a esplorare il centro, dove possono anche essere presenti degli oggetti. Un topo in condizioni psicologiche normali inizia esplorando le pareti e il perimetro, poi si avventura verso il centro e approccia gli oggetti; un topo che è stato esposto a degli stress in precedenza non si sposta dall’angolo in cui viene posizionato o, se lo fa, ispeziona solo il perimetro senza mai staccare la schiena dalle pareti. Il test dura sempre pochi minuti (dai 5 ai 10 circa) e non può essere ripetuto più di una volta per evitare che subentrino fenomeni di apprendimento, che confondono i risultati.

Il modello del test più utilizzato nella letteratura scientifica è denominato Elevated Plus Maze e consiste in due corridoi che si incrociano a formare una X, posti a circa 1 metro di altezza. Un corridoio è completamente aperto (senza pareti) mentre l’altro è chiuso da alte pareti. L’animale viene posto al centro della X e può scegliere se entrare nel corridoio chiuso o esplorare il corridoio aperto. Ovviamente un animale non stressato esplora anche il corridoio aperto, mentre un animale precedentemente esposto a uno stress passa tutto il suo tempo immobile al centro o all’interno del corridoio chiuso. Anche in questo caso il test dura pochi minuti e non può essere ripetuto più di una volta.

Come anticipato, i test sono molto semplici; la difficoltà sta nel controllare le condizioni basali degli animali. Perché si possa misurare uno stato ansioso o di stress (distress o eustress che si voglia) è necessario che gli animali di controllo siano assolutamente normali. Ci sarà quindi un gruppo di animali che subiscono uno stress sperimentale che induce lo stato “ansioso” e animali che non lo subiscono e sono considerati “controlli sani”.

Come essere certi che i “controlli sani” lo siano veramente? È la parte più difficile di uno studio comportamentale di questo genere: basta una condizione ambientale fuori controllo (temperatura, umidità, rumore, imperizia del ricercatore, vibrazioni, illuminazione scorretta eccetera) affinché i “controlli sani” non siano più tali ma a loro volta “stressati” e… addio risultato.

A scopo di esempio voglio raccontarvi un aneddoto. Un po’ di anni fa si rivolse a me un ricercatore che stava svolgendo un Open Field con ratti maschi, che però mostravano un comportamento stranissimo: invece di esplorare con cautela il perimetro del box, correvano come dei pazzi prima lungo il perimetro e poi nel centro. Un comportamento incredibile, mai osservato prima! Le ipotesi iniziali furono le più varie: deriva genetica, fattori ambientali sballati, contaminazioni… Alla fine mi venne in mente di chiedere chi avesse usato l’Open Field in precedenza scoprii che era stato utilizzato da un altro ricercatore che, però, utilizzava ratti femmine e purtroppo non lo aveva pulito bene alla fine del test. È il tipico esempio di eustress (stress positivo) che, per un errore dell’operatore, rischiava di falsare i dati dell’esperimento.

La versione originale di questo articolo, a firma di Giuliano Grignaschi, è apparso sulla pagina Facebook Scienziati, filosofi e altri animali

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