Rimasto sostanzialmente ignorato per molti anni, C. elegans è oggi centrale in molti campi della ricerca scientifica, e usato per studiare malattie complesse e rare, i processi dell’invecchiamento, per studi tossicologici e persino utilizzato dalla NASA per valutare gli effetti dell’assenza di gravità sull’organismo. Alla luce dell’ultimo (e già quarto) premio Nobel che ha visto come protagonista questo nematode, ne ripercorriamo la storia come organismo modello
C’è voluto un po’ di tempo perché arrivasse alla ribalta della ricerca biomedica, ma oggi è il protagonista diretto di ben quattro premi Nobel. Parliamo di Caenorhabditis elegans, un nematode non più lungo di un millimetro, trasparente e – a una prima occhiata – del tutto insignificante. Non è patogeno, non è velenoso, non è un parassita. Com’è diventato, allora, così importante nel mondo scientifico?
Ne abbiamo parlato con Luisa Diomede, capo laboratorio del Dipartimento di Ricerca Biochimica e Farmacologia Molecolare all’Istituto Mario Negri.
Dalla scoperta alla fama
«La storia di C. elegans inizia tra la fine del ‘800 e l’inizio del’900, quando Émile Maupas, biologo e bibliotecario della biblioteca di Algeri, lo isolò e lo descrisse per la prima volta. Questo nematode è del tutto trasparente, ed è sufficiente un normale microscopio ottico con una risoluzione sufficiente – strumento disponibile anche all’epoca – per osservarne molte caratteristiche anatomiche. Ma, per diversi anni, quella di Maupas non fu altro che una tra le tante descrizioni zoologiche di specie sconosciute», racconta Diomede.
C. elegans è rimasto “una specie tra tante” almeno fino agli anni ’40, quando vi furono le prime descrizioni del suo ciclo riproduttivo e i primo incroci tra gli ermafroditi e i maschi (i due sessi con cui si può presentare in natura). Dopo qualche anno (siamo ormai all’inizio degli anni ’60) viene anche stabilizzata in laboratorio, la linea wild-type: oggi nota come N2 o Bristol UK (dall’università dove fu isolato per la prima volta), che senza saperlo, sarebbe poi diventata il ceppo di riferimento per tutto il mondo scientifico, lo standard globale per la ricerca.
A segnare però in modo definitivo il destino del piccolo nematode, noto ormai da sessant’anni ma del quale non si era capito appieno il potenziale, è stato il biologo sudafricano Sydney Brenner. «Negli anni ’50-’60 Brenner, allora ricercatore a Cambridge, stava conducendo studi sulla biologia dello sviluppo, utilizzando il lievito, un organismo modello ma unicellulare. Brenner voleva invece un organismo pluricellulare, nel quale a partire da una singola cellula se ne originassero molte altre, e aveva capito che C. elegans avrebbe potuto rappresentare un buon candidato per i suoi studi », racconta Diomede.
Gli studi di Brenner sono stati pionieristici. Tanto da portarlo, nel 2002, a condividere il Premio Nobel per la Medicina con Robert Horvitz e John Sulston «per le loro scoperte sulla regolazione genica dello sviluppo degli organi e la morte cellulare programmata». Scoperte grazie alle quali C. elegans si è affermato come organismo modello a livello internazionale.
C. elegans e i suoi Nobel
Sulston aveva sviluppato delle tecniche per studiare tutte le divisioni cellulari del nematode, dall’uovo fecondato alle 959 cellule dell’ermafrodita adulto, scoprendo che con la formazione di nuove cellule, altre muoiono, secondo un processo di morte programmata detto apoptosi, che poteva essere monitorato nell’organismo vivente. Horvitz si concentrò sul programma genetico dell’apoptosi, identificandone i principali geni coinvolti (che in seguito si rivelarono avere controparti anche nell’essere umano).
Il lavoro di Sulston e Horvitz non sarebbe mai stato possibile senza quello di Brenner, che non solo aveva identificato C. elegans come organismo ideale per studiare questi processi ma aveva anche trovato il modo d’indurre mutazioni con un effetto specifico sullo sviluppo dei diversi organi. Era riuscito, in altre parole, ad associare mutazioni specifiche a difetti particolari nello sviluppo degli organi e nelle funzioni delle cellule, aprendo la strada alla scoperta di geni coinvolti in questi processi.
Quattro anni dopo, il Nobel per la Medicina viene assegnato ad Andrew Fire e Craig Mello. Come per il premio di quest’anno, anche il loro lavoro si è svolto usando C. elegans come modello e riguardava un processo di regolazione genica post-trascrizionale: quello dell’RNA interference. Un meccanismo presente non solo nelle diverse specie animale, ma anche nelle piante, e basato su molecole di RNA a doppio filamento (dsRNA, cioè double stranded). Fire e Mello avevano osservato che, iniettando in C. elegans molecole di dsRNA, si poteva bloccare la produzione di specifiche proteine. Si apriva un nuovo campo di studio.
Negli anni seguenti fu descritto il meccanismo alla base di questo processo, che porta alla degradazione diretta dell’RNA messaggero con le “istruzioni” per la sintesi le proteine, bloccandone quindi la produzione.
Il terzo premio Nobel a vedere coinvolto C. elegans, il penultimo prima di quest’anno, è del 2008. Stavolta è un Nobel per la Chimica, condiviso tra Osamu Shimomura, Martin Chalfie e Roger Tsien «per aver scoperto e sviluppato la Green Fluorescent Protein (GFP)». Probabilmente una delle proteine più utili in assoluto nel mondo della ricerca, la GFP è una proteina che, come suggerisce il nome, conferisce una fluorescenza verde alle cellule in cui viene espressa. Può sembrare poco più che un gioco estetico, ma non è così: la GFP è diventata una sorta di tracciante di cellule, che permette di seguirne i percorsi in tutto l’organismo, aprendo la strada a nuovi modi per seguire processi come lo sviluppo dei neuroni o delle cellule tumorali. La GFP è normalmente prodotta da una medusa ma, ancora una volta, per studiare come indurne la produzione il protagonista è stato C. elegans, che con la sua struttura semplice (ma abbastanza complessa da presentare organi e cellule specializzate) e trasparente, era il candidato perfetto per la ricerca.
Dallo studio delle patologie allo sviluppo nello Spazio
Nel tempo, C. elegans è diventato, oltre che sempre più famoso, anche sempre più conosciuto: il suo è stato il primo genoma a essere mappato per intero, nel 1998, e ogni singola cellula è stata mappata e caratterizzata – un lavoro semplificato dal fatto che il nematode è un organismo eutelio, con un numero fisso di cellule.
«C. elegans si è definitivamente affermato come un organismo modello prezioso non solo per la biologia dello sviluppo e per la genetica, ma anche in molti altri campi. Per esempio, il suo breve ciclo di vita (della durata di circa tre settimane) lo rende ideale per ricerche sull’invecchiamento, perché consente di eseguire rapidamente studi che in altri modelli animali durerebbero a lungo », spiega Diomede. E l’invecchiamento è un esempio tra i diversi ambiti di ricerca, alcuni forse insospettabili: C. elegans è utilizzato come modello per lo studio di molte patologie umane, anche complesse, come malattie neurodegenerative, diabete, obesità (ebbene sì, esistono linee di C. elegans modificate geneticamente per essere un modello dell’obesità), e malattie rare come la sclerosi laterale amiotrofica e le amiloidosi sistemiche.
«Questo è avvenuto anche grazie al fatto che la manipolazione genetica del nematode è relativamente semplice, per cui è possibile creare diverse linee geneticamente modificate che ricapitolano gli aspetti essenziali delle malattie umane», spiega Diomede. «Anche per quanto riguarda la ricerca di base, C. elegans presenta alcune caratteristiche che lo rendono estremamente utile. È un organismo semplice, ma con cellule e organi specializzati. Permette di condurre ricerche nell’ambito del sistema nervoso (circa un terzo delle sue cellule sono neuroni e sono presenti anche i neurotrasmettitori) e dei processi metabolici. Naturalmente, ci sono anche molti punti di differenza rispetto a vertebrati complessi: la mancanza di un sistema nervoso centralizzato, di un sistema cardiocircolatorio, di organi quali reni e fegato, e l’assenza di un sistema immunitario adattativo».
Ancora, C. elegans si è rivelato prezioso negli studi di tossicologia e farmacologia: «Per quanto riguarda gli studi di tossicità, i valori di LD50 ottenuti in questo modello correlano con i valori riscontrati nei vertebrati e questo, unito alla facilità di utilizzo del nematode, permette di eseguire screening su larga scala. È utilizzato anche negli studi di tossicologia ambientale, compresi quelli sulla nano-tossicologia: per esempio, nel nostro laboratorio lo usiamo per valutare i potenziali effetti tossici delle plastiche, in particolare delle micro- e nano-plastiche», spiega Diomede. Non da ultimo, il nematode ha visitato lo Spazio, accompagnando l’equipaggio a bordo della Stazione spaziale internazionale, dove è stato utilizzato per esperimenti sugli effetti dell’assenza di gravità.
«Insomma, possiamo davvero dire che C. elegans è la dimostrazione vivente (e vermiforme) che non serve essere grandi o appariscenti per avere un enorme impatto sulla scienza!», conclude Diomede.