Per poter svolgere un progetto che preveda lo svolgimento di procedure su animali (vertebrati non umani e cefalopodi) è necessaria una serie di autorizzazioni concesse solo dopo un’attenta valutazione. È questo percorso che permette di stabilire se l’uso di animali è davvero necessario, se il progetto rispetta tutte le leggi per tutelarne il benessere, se la ricerca rispetta il principio delle 3R e così via. Diamo una panoramica delle norme in materia, in UE e in Italia, e della procedura richiesta per l’autorizzazione di un progetto di ricerca che richiede l’uso di animali
Chi valuta se per un determinato progetto di ricerca gli animali sono davvero necessari? Che la specie individuata sia la più idonea, che le procedure previste siano davvero necessarie? E ancora che siano usati, e in modo corretto, anestetici e analgesici? Che il numero di animali che si è previsto di usare non siano un numero eccessivo rispetto alle necessità?
Come l’allevamento, la stabulazione, le procedure sperimentali e di soppressione, e ogni altro aspetto riguardante l’uso di animali in ricerca, anche l’approvazione di un progetto segue un iter preciso e regolamentato. Anche in questo caso, è la Direttiva 2010/63/EU a indicare le modalità di valutazione e di autorizzazione di un progetto.
Ne riprendiamo i punti generali, spiegando come sono attuati in Italia, per dare un quadro della valutazione necessaria per l’approvazione di un progetto di ricerca che prevede l’uso di animali.
Valutazione e autorizzazione, cosa dice la Direttiva EU
Gli articoli relativi alla valutazione e all’autorizzazione dei progetti si trovano al Capo IV, Sezione 3 della Direttiva 2010/63/EU, Requisiti relativi ai progetti, che partono dall’obbligo – appunto – di un’autorizzazione. Il progetto dev’essere quindi innanzitutto valutato: la valutazione deve verificare che sia innanzitutto giustificato (da un punto di vista scientifico o educativo, oppure perché previsto per legge, come avviene nel caso dei test per efficacia e sicurezza dei farmaci), anche per quanto riguarda l’uso di animali. Inoltre, si deve verificare che sia «concepito in modo tale da consentire lo svolgimento delle procedure nelle condizioni umanitarie e più rispettose dell’ambiente possibili», portando l’attenzione quindi sia al benessere animale sia alla sostenibilità ambientale.
La valutazione verifica inoltre la conformità del progetto al principio delle 3R (replace, reduce, refine). Richiede inoltre sia una classificazione della possibile gravità delle procedure previste (della loro classificazione abbiamo parlato qui, ma è da notare che in questo caso si parla di una “previsione” del livello massimo di sofferenza che anche un singolo animale potrebbe esperire), sia un’analisi danno-beneficio del progetto. Quest’ultima è intesa proprio a stabilire se l’eventuale danno arrecato agli animali (sofferenza, dolore e/o angoscia) sia giustificato dal risultato atteso. In questo contesto di valutazione, la Direttiva EU prevede anche la possibilità, se ritenuto necessario dall’autorità competente, di eseguire una valutazione retrospettiva, che è comunque sempre prevista nel caso il progetto richieda l’uso di primati e/o procedure classificate come gravi.
Infine, la valutazione dev’essere trasparente: a meno che non vi siano particolari vincoli di proprietà intellettuale e di informazioni riservate, dev’essere svolta «in maniera imparziale e può integrare il parere di parti indipendenti».
Solo al termine di questo processo di valutazione può essere rilasciata l’autorizzazione al progetto, che dev’essere comunicata entro 40 giorni lavorativi (con proroga massima di altri 15 giorni per progetti particolarmente complessi o multidisciplinari). L’autorizzazione ha una durata massima di cinque anni e può ovviamente essere revocata se il progetto non è portato avanti «in conformità con quanto disposto nell’autorizzazione»; inoltre, ogni modifica o rinnovo dev’essere sottoposto a un’ulteriore valutazione.
Valutazione e autorizzazione in Italia
La Direttiva 2010/63/EU è stata recepita in Italia con il decreto legislativo 26/2014, che stabilisce che la domanda di autorizzazione per un progetto che richiede l’uso di animali debba essere fatta inizialmente dall’Organismo Preposto al Benessere Animale (OPBA), una sorta di comitato etico-scientifico interno alla struttura. In questo particolare ambito, la normativa italiana è stata più stringente di quella europea e ha attribuito anche alle singole istituzioni proponenti il compito di effettuare una prima analisi etico-scientifica dei progetti, dalla quale scaturisce un “parere motivato” senza il quale il progetto non può essere inoltrato alle autorità competenti. La Direttiva EU infatti prevede un generico Animal Welfare Body (AWB) per ogni allevatore, fornitore e utilizzatore degli animali usati per la ricerca, che però non ha compiti di revisione dei progetti.
L’OPBA è un organismo composto da diverse figure professionali, compresi almeno il veterinario designato, il responsabile del benessere animale e un ricercatore o membro scientifico che ha tra i propri compiti anche l’esame preventivo dei progetti che richiedono l’uso di animali.
Questa prima valutazione “interna”, eseguita dall’OPBA dell’ente che fa richiesta di autorizzazione, deve verificare per esempio che non vi sia possibilità di impiegare metodi alternativi, la rilevanza tecnico-scientifica del progetto, il rispetto della normativa e l’adeguata formazione di chi effettuerà le procedure sugli animali.
Se positivo, il parere motivato dell’OPBA dev’essere inviato online, con tutti i documenti richiesti (qui la lista) all’Ufficio 6 del Direttore Generale della Sanità Animale e di Farmaci Veterinari (DGSAF) del Ministero della Salute, che rappresenta l’autorità competente per il rilascio dell’autorizzazione. È dunque questo ufficio a procedere con la valutazione, secondo quanto previsto dalla Direttiva EU, con il parere tecnico-scientifico dell’Istituto Superiore di Sanità o di altri enti tecnico-scientifici (nel caso dell’uso di primati, cani, gatti e specie a rischio di estinzione, il parere deve venire dal Consiglio Superiore di Sanità).
Le linee guida stilate dal Ministero della Salute offrono un’utile panoramica delle informazioni richieste per il processo di valutazione e autorizzazione dei progetti: dai responsabili con relative qualifiche ai criteri di selezione del campione; dalle metodologie alle motivazioni che richiedono di ripetere un esperimento già eseguito in passato; dalla gravità delle procedure che si prevede di eseguire alle terapie anestetiche o antidolorifiche (incluse la modalità di somministrazione, i farmaci specifici e i dosaggi) per gli animali. La documentazione richiede anche di precisare se è previsto, come humane endpoint, la soppressione degli animali e le misure previste per mitigare ogni possibile sofferenza (stress compreso), e l’eventuale riutilizzo degli animali che, ricordiamo, è da una parte coerente con il principio delle 3R ma che può anche inficiare il benessere degli animali stessi (l’essere sottoposti più volte alle procedure può aggravare stress e sofferenza).
Come ci aveva spiegato la Società Farmacologica Italiana (SIF), soggetto aderente di Research4Life, l’intera procedura, a partire dall’esame dell’OPBA fino all’autorizzazione del Ministero della Sanità, richiede in media dai tre ai cinque mesi.
«Sono tempi lunghi, ma fondamentali per garantire che l’uso degli animali sia pienamente motivato e per assicurare che la ricerca avvenga nel rispetto degli standard etici più elevati», commenta Giuliano Grignaschi, portavoce di Research4Life. «La complessità e il rigore del processo di autorizzazione per l’uso di animali nella ricerca scientifica riflettono l’importanza di bilanciare il progresso scientifico con il benessere animale; nessuno oggi intraprenderebbe il percorso di autorizzazione di un progetto senza le prove della sua necessità. Questo sistema garantisce che l’uso degli animali sia limitato a casi in cui non esistono alternative scientificamente valide per ottenere il risultato, rispettando il principio delle 3R».