Si è tenuto a fine giugno il workshop The use of animals for scientific research in Europe, per avviare un dibattito partecipato, e guidato dalla scienza, sul ruolo della sperimentazione animale e dei metodi alternativi
«Il parlamento europeo, a settembre 2021, ha votato, in larga maggioranza, per l’eliminazione graduale della sperimentazione animale nella ricerca in Europa, non appena scientificamente possibile. Quindi, la direzione del nostro viaggio è chiara ma questo non risolve il conflitto fondamentale tra il progresso della scienza per il bene dell’umanità e l’interesse degli animali coinvolti». Con queste parole, Christian Ehler, presidente del comitato europeo Science and Technology Options Assesment (STOA), apre il workshop del 28 giugno, un incontro progettato per riunire e porre a confronto diverse figure della ricerca europea e avviare un dibattito partecipato, e guidato dalla scienza, sul ruolo della sperimentazione animale e delle tecniche di indagine alternative. «Il parlamento europeo ha richiesto un piano d’azione. E questo incontro vuole essere un contributo per lo sviluppo di questo piano».
Il workshop si è sviluppato in tre sessioni: dopo gli interventi introduttivi di Christian Ehler e Maria Leptin, presidente del consiglio europeo per la ricerca (CER), vi è stata una presentazione di Laura Gribaldo, del Laboratorio di riferimento dell’Unione Europea per le alternative alla sperimentazione animale (EURLECVAM, JRC), riguardo le criticità dell’uso dei modelli viventi non umani in campo biomedico, e le potenzialità dei Nuovi Approcci Metodologici (NAM) a sostituzione della sperimentazione animale in alcune aree di ricerca. Ciascun esperto ha poi condiviso la propria visione, offrendo una panoramica riguardo gli sviluppi delle tecniche alternative, riferendosi in particolare alla disciplina in cui opera; agli interventi è seguita una fase di domande e risposte con il pubblico, in presenza o da remoto.
Come ha evidenziato Maria Leptin, la comunità europea già tiene in alta considerazione il tema, valutando con attenzione l’aspetto dell’etica animale e l’applicazione delle 3R (Replacement, Reduction, Refinement) nel processo di selezione dei progetti a cui assegnare i finanziamenti.
Complementari, non sostitutivi
Gli esperti hanno concordato all’unanimità riguardo la volontà di affrancarsi dall’uso di animali, ribadendone tuttavia il ruolo essenziale che, ancora oggi, questa pratica ricopre in molti ambiti. Un tema centrale è difatti la necessità di “separare” i rami della ricerca, riconoscendo la notevole variabilità con cui le diverse discipline scientifiche necessitano l’impiego di esseri viventi, o sono in grado di sfruttare i Nuovi Approcci Metodologici.
Organoidi, cellule staminali pluripotenti indotte (IPSCs), cellule CAR-T, lab-on-a-chip, algoritmi computazionali, big data analysis; per quanto promettenti, i nuovi approcci metodologici presentano – al momento – dei limiti che rendono la sperimentazione animale insostituibile in alcuni ambiti.
Per esempio, come sottolinea il virologo Bart Haagmans, dell’Erasmus MC di Rotterdam, nello studio delle trasmissioni virali e nello sviluppo dei vaccini contro SARS-CoV-2, la sperimentazione sugli animali è stata fondamentale. Haagmans ha presentato inoltre il caso esemplare dell’idrossiclorochina, un farmaco testato unicamente in vitro e rapidamente introdotto nell’uomo che si è dimostrato inefficace, nonostante i risultati positivi nelle singole cellule. Al contrario, i modelli animali, successivamente testati, avrebbero predetto questa inefficacia.
Le neuroscienze forniscono un altro esempio di disciplina in cui l’impiego dei modelli animali rimane a volte necessario. «Il cervello è complesso e così lo sono le sue malattie» esordisce Karin Forsberg Nilsson del dipartimento di immunologia, genetica e patologia dell’Università di Uppsala, «E quindi non vi è un singolo modello che sia perfetto. Abbiamo bisogno di una combinazione di modelli diversi». Il messaggio centrale è di complementarità: se, per esempio, gli algoritmi di machine learning sono in grado di individuare pattern di attivazione neuronale prima sconosciuti e creare nuovi modelli, ancora dipendono fortemente dall’input di dati, forniti anche dalla sperimentazione animale.
Un altro caso è quello degli organoidi cerebrali, i cosiddetti minibrains, i quali, per quanto interessanti, rimangono fortemente limitati, poiché come tutti gli organoidi, non sono un modello perfetto dell’organo: non hanno sistema immunitario o vascolarizzazione, e non comunicano con altri organi (R4L ne ha parlato qui). Come spiega Meritxell Huch, dell’istituto Max Planck di Biologia molecolare e Genetica di Dresden ed esperta nell’utilizzo di organoidi, è necessario che vi sia chiarezza riguardo i nuovi metodi. Fin dalle prime versioni, è stato riconosciuto il potenziale degli organoidi come sostituti dei modelli animali, tuttavia spesso tali potenzialità vengono esagerate rispetto all’attuale stato di sviluppo di questo strumento. Gli organoidi si rivelano molto utili, per esempio, per studiare malattie specifiche dell’uomo, come l’epatite, o nella tossicologia, o per selezionare il farmaco più efficace tra diversi candidati; in alcuni casi forniscono le basi per una vera e propria medicina personalizzata, come nei test farmacologici su organoidi derivati da tessuti di pazienti affetti da fibrosi cistica, o nei patient derived organoids per lo studio del cancro. Tuttavia, gli organoidi non possono mimare a pieno tutti gli aspetti dell’organo, mancando di riprodurne l’architettura strutturale, cruciale per la funzionalità, e le interazioni con gli altri apparati del corpo umano. «Non sono organi su piastra, anzi sono piuttosto rudimentali», afferma Huch, e come specifica nelle conclusioni Maria Leptin, i terreni di cultura di organoidi e linee cellulari sono comunque spesso di derivazione animale. Inoltre, l’uso di esseri viventi rimane imprescindibile per individuare possibili artefatti, fornendo ad oggi l’unico parametro di riferimento valido.
Una volta riconosciuto il ruolo ancora essenziale dei modelli animali per la ricerca scientifica, un obiettivo fondamentale a medio-breve termine dovrebbe essere la massimizzazione del benessere degli animali impiegati tutt’oggi. Ana Isabel Moura Santos, dell’Ente per il Benessere Animale della NOVA Medical School di Lisbona, ricorda che se da un lato il divieto della sperimentazione animale avrebbe il risultato di spostare la fase finale di alcune ricerche in altri paesi, dove il benessere degli animali non è ben regolamentato come in UE; dall’altro i decisori scientifici e politici dovrebbero cambiare prospettiva, dal minimizzare i danni agli animali, al garantire loro una vita degna di essere vissuta, mantenendo al contempo la qualità dei risultati scientifici. Per ottenere ciò è necessario migliorare le condizioni di stabulazione e di mantenimento degli animali e richiedere una migliore formazione e trasparenza da parte di tutti gli attori che lavorano con gli animali, dai laboratori alle università alle riviste scientifiche.
La necessità di modelli human-based
Il workshop non ha mancato di approfondire anche i limiti dei modelli animali, sui quali la comunità scientifica è, per prima, profondamente attenta.
La presentazione di Laura Gribaldo (EURL ECVAM) ha fornito alcuni dati su tali limiti. Secondo la Commissione europea, nel periodo 2015-2017, il 70% degli animali da laboratorio è stato impiegato nella ricerca di base e nello sviluppo di farmaci, e il 92% è costituito da roditori. Tuttavia, molte pubblicazioni mostrano un fallimento nello sviluppo di farmaci per la sperimentazione clinica basati sui risultati da modelli animali, soprattutto nel campo dell’oncologia o del sistema nervoso centrale (come per demenze o Alzheimer, per i quali, nel decennio tra il 2002 e il 2012, il 99% circa dei trial per potenziali farmaci ha fallito).
Nonostante i test sugli animali siano fondamentali per valutare la sicurezza dei composti, questi dati fanno emergere la necessità di riconoscere i limiti dei modelli in vivo e svilupparne di nuovi per una ricerca che sia realmente centrata sull’essere umano.
La critica principale mossa ai NAM è la mancanza di una integrazione sistemica degli elementi, che forza lo studio degli oggetti sperimentali in un contesto isolato dalle interazioni fisiologiche; tuttavia, come afferma Peter Loskill, dell’Istituto di ingegneria biomedica dell’Università Eberhard Karls di Tubinga, i modelli in vitro complessi, sostenuti e potenziati da modelli in silico – basati sull’utilizzo di computer e informatica – possono rappresentare diverse interazioni tra organi. Secondo l’esperto quindi, una domanda si pone: è meglio usare modelli che rappresentano interazioni solo specifiche ma umane, o modelli che rappresentano interazioni sistemiche animali e quindi, spesso, totalmente diverse? Cosa è più utile per la salute dell’essere umano?
Potenziare i Nuovi Approcci Metodologici e capire in quali discipline possono sostituirsi con successo alla sperimentazione animale diventa quindi fondamentale.
Un problema centrale, sollevato da Peter Loskill, per la diffusione delle tecniche alternative human-based è la scarsa conoscenza e competenza pratica nella comunità scientifica. Un primo passo è quindi quello di dare un forte impulso ai programmi che promuovono il potenziamento delle NAM e rendere maggiormente accessibili informazioni e training su queste metodologie ai ricercatori, fin dai corsi universitari.
In questa stessa direzione si sviluppa il progetto pilota, presentato da Laura Gribaldo e finanziato dal parlamento europeo, per lo sviluppo di un database automatizzato per raccogliere e strutturare i metodi non-animali disponibili per la ricerca biomedica, che si baserà su un set di dati, derivati da uno screening di letteratura, per addestrare algoritmi di apprendimento automatico. Il progetto è in fase di lancio con l’obiettivo di completarlo entro il 2024, quando dovrebbe essere pubblicata una versione consolidata del dataset. Il proposito è di creare uno strumento che classifichi e categorizzi le tecniche, in modo che gli scienziati possano cercare in base alle proprie necessità il modello specifico più adatto. Alla base di questo processo vi deve essere un’operazione sistemica di standardizzazione e collaborazione tra le diverse discipline.
Costruire una tabella di marcia
Il parlamento europeo mira allo sviluppo di una tabella di marcia, definita con il supporto della comunità scientifica, per l’implementazione progressiva dei metodi alternativi, il cui miglioramento va accelerato, con l’obiettivo di abbandonare gradualmente la sperimentazione animale. Il punto fondamentale di tale transizione, comunque, rimane la necessità di avere a disposizione modelli che si siano dimostrati sicuri ed efficaci quanto quelli animali.
Per ottimizzare la transizione, Christian Ehler ha osservato come sia necessaria una mappatura sistematica sui metodi NAM oggi disponibili, in modo da valutare anche quali siano le opzioni più promettenti e quindi su cui investire.
Per quanto riguarda i finanziamenti, ha inoltre aggiunto Laura Gribaldo, la Commissione UE sta lavorando a un testo per un nuovo bando di finanziamento nel 2024 per gruppi di ricerca in diverse aree della biomedicina che fanno uso di modelli complessi basati sull’uomo.
Lo STOA sta quindi ancora valutando la possibilità di realizzare uno studio di mappatura e, al contempo, organizzare la discussione in Europa, in modo da favorire le interazioni tra le istituzioni europee, gli scienziati e il mondo accademico.
«Eventi di questo genere evidenziano come il mondo della ricerca biomedica sia fortemente indirizzato alla messa a punto di metodi che non prevedano il coinvolgimento di animali non umani e molti gruppi stiano alacremente lavorando al loro sviluppo ma, a oggi, non siamo ancora in grado di abbandonare completamente il modello animale», commenta Giuliano Grignaschi, portavoce di Research4Life. «Quello che possiamo fare (e che facciamo quotidianamente) è utilizzare tutti i metodi a disposizione in maniera complementare allo scopo di ottenere nel più breve tempo possibile dei risultati utili a sviluppare terapie. In questa logica di utilizzo di tutti i metodi disponibili, in modo complementare, dispiace tuttavia vedere come da parte di alcuni prevalga sempre il tentativo di attribuire la responsabilità del fallimento nello sviluppo di nuove terapie solo al modello animale che, generalmente, è l’ultimo passaggio prima di arrivare all’uomo ma dopo aver superato tutti i test in cellule, simulazioni al computer eccetera. Credo sia davvero giunto il momento di abbandonare ogni estremismo e lavorare tutti insieme per lo sviluppo di una ricerca sempre più efficace e sostenibile».