Uno studio condotto dall’Università Statale di Milano e dall’Istituto Italiano di Tecnologia ha indagato, nei topi, i fattori che influenzano le scelte di tipo altruistico e il meccanismo neurale che vi sta alla base, dimostrando il ruolo di un circuito che coinvolge l’amigdala e la corteccia prefrontale
Capire i meccanismi neurali che stanno alla base di determinati comportamenti è una della grandi sfide della ricerca: come già ricordavamo in un nostro recente articolo, l’incrocio tra neuroscienze ed etologia diventa sempre più interessante per capire come il cervello controlla i comportamenti. Un esempio affascinante in questo campo è dato dallo studio pubblicato su Nature Neuroscience a firma di un gruppo di ricerca dell’Istituto Italiano di tecnologia e dell’Università Statale di Milano, dedicato ai meccanismi neurali correlati alle scelte prosociali. In altre parole, lo studio mostra come un particolare circuito cerebrale, nei topi, influenzi la tendenza a condividere o meno un premio con altri individui, insomma le scelte di tipo altruistico o egoistico.
Solo per me oppure anche per te
Non vi è ancora un consenso univoco, nel mondo accademico, sulla possibilità di definire alcuni comportamenti animali altruisti (o egoisti) proprio nello stesso modo con cui lo intendiamo per gli esseri umani. Tuttavia, sono moltissimi gli studi e le osservazioni che evidenziano come non manchino comportamenti che, messi in atto da un individuo, vanno a beneficio di un compagno – anche a prezzo di un certo sacrificio o sforzo del primo. A livello sperimentale, per esempio, è stato dimostrato che i ratti reagiscono quando un conspecifico, richiuso in una gabbia, mostra segni di stress, liberandolo. Ma su quali basi neurobiologiche avvengono questi comportamenti?
Nel nuovo studio, ricercatori e ricercatrici hanno sottoposto alcuni topi a un test detto dictator game, messo a punto per studi negli umani, nel quale un individuo ha la possibilità di ricevere una ricompensa solo per sé oppure anche per un compagno. I topi sono addestrati per infilare il muso in un buco del loro box, imparando che a seconda del foro scelto “selezionano” una delle due opzioni; il conspecifico cui può andare la ricompensa è visibile, separato solo da una piccola rete, ma fa da spettatore passivo e non può esprimere alcuna scelta.
«Nella prima parte del lavoro, ciò che abbiamo osservato è che la maggior parte degli animali ha una preferenza di tipo altruistico, cioè scelgono più frequentemente di condividere la ricompensa», spiega Diego Scheggia, primo autore dell’articolo. «Quindi siamo passati a cercare d’individuare i fattori che influenzano questa scelta e quella, più rara, di tipo egoistico».
Vari fattori
Tre, in particolare, sono i fattori emersi come più significativi. Innanzitutto, la familiarità, perché i topi condividono più facilmente la ricompensa se va a un individuo che conoscono (non necessariamente con cui sono imparentati); quindi lo stato sociale, perché gli individui di rango gerarchico più elevato all’interno del gruppo tendono ad avere più comportamenti di tipo altruistico rispetto a quelli di rango inferiore. «Quest’ultimo aspetto è stato osservato anche in altre specie, in particolare nei primati, perché gli individui dominanti hanno accesso facilitato alle risorse e tendono a distribuirle, mentre nei ranghi inferiori la competizione è maggiore, per cui si osservano più facilmente tendenze egoistiche e conservative nei confronti delle risorse», spiega ancora Scheggia.
Un terzo fattore correlato a maggiori scelte di tipo altruistico è l’empatia, cioè la capacità di comprendere lo stato emotivo degli altri individui. Il gruppo di ricerca ha infatti condotto dei test per stabilire quando gli individui che partecipavano al dictator game mostrassero anche comportamenti di tipo empatico: l’esperimento consiste nel far vedere a un topo un conspecifico che subisce uno stimolo negativo, come una leggera scossa elettrica, e osservare come reagisce. Di solito, un topo spaventato o stressato s’immobilizza, un comportamento detto freezing, e un individuo empatico assume lo stesso atteggiamento quando vede il compagno metterlo in atto. È così emerso che gli individui più empatici sono anche coloro che più scelgono di condividere il cibo.
In questo senso, è interessante notare che, in genere, sono le femmine delle diverse specie a essere tendenzialmente più empatiche dei maschi (una caratteristica messa in relazione alla maternità e alla necessità di comprendere lo stato emotivo e i bisogni del cucciolo). Sono allora anche le femmine a essere più prosociali, a scegliere più facilmente di condividere la ricompensa? «In effetti, tra i fattori analizzati abbiamo considerato anche il sesso, ma il risultato è stato un po’ inaspettato», spiega Scheggia. «Nel dictator game, infatti, le femmine tendono a condividere meno rispetto ai maschi. Non abbiamo alcun dato sperimentale che possa, per ora, offrire una spiegazione: una mia personale speculazione è che, biologicamente, le femmine non siano “più egoiste” ma “più conservative”, sulla base dell’istinto delle cure parentali, cioè tendano a conservare le risorse per essere sicure di averne per la prole».
Studiando i neuroni
Il passaggio successivo dello studio rappresenta il cuore del lavoro: «Abbiamo analizzato il circuito cerebrale correlato ai comportamenti di tipo altruistico o egoistico, dimostrando che nell’amigdala, una porzione evolutivamente molto antica del cervello che rappresenta il centro emotivo degli animali, i soggetti più altruisti mostrano un’attivazione maggiore dei neuroni rispetto ai soggetti egoisti», spiega Scheggia. «Ma il cervello non lavora a compartimenti stagni, ma grazie all’interazione tra aree differenti; quindi abbiamo cercato quindi di capire quali altre aree cerebrali fossero coinvolte in questo processo. Dai nostri risultati, è emerso che la corteccia prefrontale, che ha un ruolo importante su molti comportamenti cognitivi, ha un ruolo rilevante: infatti, la minor attivazione dell’amigdala propria dei soggetti che mostrano comportamenti di tipo egoistico è legata proprio alla mancata comunicazione con la corteccia prefrontale».
«Dalla letteratura scientifica avevamo già alcuni indizi sulle aree cerebrali da indagare, perché si tratta di strutture molto ben studiate, anche nella nostra specie. Tuttavia, negli esseri umani o negli altri primati possiamo solo valutare, per esempio con la risonanza magnetica, quali aree si attivano con un certo comportamento. Nei topi, invece, è stato possibile condurre un’analisi cellulo-specifica», continua il ricercatore. Il gruppo di ricerca ha potuto eseguire quest’analisi grazie a tecniche di chemogenetica, che permettono di far esprimere particolari recettori sulla superficie di neuroni in aree molto specifiche del cervello. I recettori si legano ad alcuni farmaci, che determinano lo “spegnimento”, o l’inattivazione, del neurone. Somministrando questi farmaci, quindi, è stato possibile osservare che l’inattivazione dei neuroni della corteccia prefrontale che comunicano con l’amigdala determina la comparsa di un comportamento di tipo più egoistico.
Possiamo allora dire che l’avere o meno comportamenti prosociali è determinato biologicamente? Che ciascun individuo nasce con un circuito neurale più o meno attivo che lo porta ad avere comportamenti di tipo altruistico? Niente affatto, e non solo perché il cervello è noto soprattutto per la sua plasticità e capacità di modificare le proprie reti neurali nel tempo. «Abbiamo osservato che i topi con più spiccate preferenze per l’interazione sociale sono anche quelli che poi mostrano più comportamenti di tipo altruistico durante il test, quindi non possiamo escludere che vi sia una base genetica personale a influenzare il comportamento. Tuttavia, sappiamo l’ambiente e l’esperienza influenzano profondamente gli individui; in più, dobbiamo anche considerare che i topi imparavano il compito nel quale potevano comportarsi in modo più o meno altruistico: questo significa che nel processo entrano sicuramente in gioco molti altri fattori, come per esempio la memoria», spiega Scheggia.
Questo primo studio, che potrebbe aiutare la comprensione di alcuni disturbi socio-cognitivi umani che coinvolgono anche queste funzioni sociali, apre molte altre domande di ricerca. Per esempio, i topi che hanno fatto da attori e ricevuto la ricompensa, ricambierebbero il “favore”? In altre parole, vi è reciprocità nel comportamento? «È proprio uno degli aspetti che vogliamo a indagare nei prossimi studi», conclude il ricercatore.