Qual è la realtà delle associazioni che si occupano di ricollocazione degli animali da laboratorio? Come lavorano? Quanti animali riescono a recuperare e quanti a essere adottati? Parliamo con Stefano Martinelli, presidente de La Collina dei Conigli ODV, a oggi l’unica associazione, iscritta nelle liste del Ministero della Salute come ente affidatario per il rehoming degli animali, che al contempo abbia anche Centri iscritti per la loro accoglienza e che si occupa non solo di conigli ma anche di topi, ratti, porcellini d’India e criceti
Abbiamo di recente parlato del rehoming degli animali usati a fini scientifici, cioè della loro reintroduzione in un ambiente naturale, in un allevamento o pressi enti che, oltre a prendersene cura, possano a seconda delle specie promuoverne l’adozione da parte di privati. Dopo aver descritto quanto previsto dalla normativa al riguarda, cerchiamo di capire in cosa consista questa realtà parlando con chi ne occupa quotidianamente: ne parliamo con Stefano Martinelli, presidente e uno dei fondatori de La Collina dei Conigli ODV.
Una collina non solo per conigli
La Collina dei Conigli è a oggi l’unico ente riconosciuto come ente affidatario degli animali usciti dai laboratori, e inserito come tale nella lista del Ministero della Salute (ricordiamo che i requisiti necessari per gli enti affidatari sono stati indicati solo nel 2021 da un decreto ministeriale), che al tempo stesso abbia proprie strutture autorizzate, a oggi le uniche in Italia, per ospitare questi animali. Della sua storia avevamo già parlato alcuni anni fa: nata nel 2005 come rifugio per conigli e porcellini d’India cui i proprietari avevano rinunciato, è diventata presto anche un punto di riferimento anche per il rehoming degli animali da laboratorio. Non solo conigli e porcellini d’India, quindi, ma anche topi, ratti e criceti. «I primi animali che abbiamo iniziato a ospitare, prima ancora che nascesse formalmente l’associazione, sono arrivati tramite veterinari designati degli stabulari», spiega Martinelli. «Il passaparola tra loro è stato per un certo periodo il canale principale del rehoming degli animali presso le nostre strutture. Nel tempo, e soprattutto in seguito alla Direttiva EU per la tutela degli animali a fini scientifici, che ha portato in Italia a stabilire l’Organismo preposto al benessere animale (OPBA), quest’ultimo è diventato un importante promotore del reinserimento».
Oggi La Collina dei Conigli collabora con circa trenta strutture scientifiche che usano gli animali, da ciascuna delle quali arrivano da poche decine a qualche centinaio di animali delle diverse specie. Per lo più si tratta di animali utilizzati in procedure non particolarmente invasive, o in sovrannumero, che non sono stati necessari nell’ambito della ricerca per la quale sono stati comprati, oppure usati per test comportamentali (soprattutto i ratti) o in procedure veterinarie come il prelievo di spermatozoi o ovuli, o ancora individui sentinella, cioè quelli usati per individuare e valutare rischi potenziali in un ambiente o in uno scenario sperimentale.
«In media accogliamo 1.500 animali all’anno. Il numero di animali che arriva da noi non segue le statistiche degli animali usati in sperimentazione, cioè i numeri non calano se un anno sono stati meno animali, né viceversa aumentano se un anno ne sono stati usati di più», spiega Martinelli. «A seguire invece le proporzioni degli animali usati è la tipologia di specie: da noi arrivano soprattutto topi, la specie in assoluto più usata in sperimentazione, e a seguire in percentuali minori ratti, conigli eccetera. Una volta giunti nelle nostre strutture, i conigli vengono vaccinati e dotati di microchip (se non sono già tatuati), in modo che possiamo seguirne chiaramente la storia e saperne per esempio ceppo, età, se sono stati o meno sterilizzati eccetera. Inoltre vengono sterilizzati, così come i ratti, anche loro microchippati per il loro riconoscimento. Per i topi eseguiamo un controllo d’ingresso e le verifiche sanitarie, ma non sono sterilizzati: maschi e femmine sono stabulati separatamente e tenuti sotto controllo per verificare tempestivamente eventuali segni di aggressività intra-sessuale».
Rehoming e adozioni consapevoli
Obiettivo principale del rehoming è quello di offrire agli animali nuova vita al di fuori del laboratorio – anche se la normativa prevede la possibilità di reinserire alcune specie nei sistemi di allevamento. Per La Collina dei Conigli ciò non significa solo fornire loro un percorso di riabilitazione e un ambiente adeguato alle necessità delle diverse specie ma anche promuoverne l’adozione presso privati, un punto fondamentale per le attività dell’associazione, come di qualsiasi altro rifugio per animali, perché consente di accogliere nuovi individui. Ma il benessere degli animali rimane al primo posto, per cui è fondamentale che anche gli adottati possano dare le stesse garanzie di tutela del benessere degli animali.
Per alcune specie, questo significa un’adozione di coppia (vale per esempio per i conigli) o in gruppi che rispecchino quella che sarebbe l’organizzazione sociale della specie in natura. Sempre a seconda della specie, è necessario che anche nella nuova casa siano garantiti spazi idonei: niente gabbie, per esempio, per conigli e porcellini d’India, che devono essere liberi in uno spazio di dimensioni idonee; gabbiette a più piani per i topi, voliere per i ratti, ai quali però devono poter essere assicurate uscite quotidiane. Il tutto sempre prestando cura anche all’arricchimento ambientale. In altre parole, l’associazione promuove adozioni consapevoli.
«In generale, abbiamo un trend in crescita sugli animali che riusciamo a far adottare: l’anno scorso sono stati 250 gli animali cui abbiamo trovato una casa», racconta Martinelli «Sulla probabilità di adozione pesa comunque molto quanto una certa specie sia concepita, nella mentalità comune, come animale da compagnia: per esempio, è abbastanza facilitata per i conigli, che di solito nell’arco di un paio d’anni trovano casa. Tuttavia, molte persone che pensano di adottare un coniglio hanno in mente alcune varietà diffuse come pet, come il coniglio ariete (quello con le orecchie cadenti), oppure il coniglio nano. Invece, i conigli che arrivano da noi sono animali molto più grandi, fino a cinque chili di peso, e quasi esclusivamente albini; questo può essere un limite – puramente estetico – per gli aspiranti adottanti».
Forse un po’ paradossalmente, spiega ancora Martinelli, la caratteristica albina che rende più difficoltose le adozioni per i conigli è invece un punto a favore per i ratti, anch’essi in maggioranza bianchi. Di fronte a una specie storicamente associata a malattie e sporcizia, e comunque poco diffusa in Italia come animale da compagnia, insomma, il colore del manto può essere un aiuto per il rehoming.
Divulgazione e rafforzamento delle attività
«In linea di massima, le persone che arrivano da noi hanno già avuto modo di farsi un’idea di come lavoriamo (e quindi anche del tipo di animali che ospitiamo e di ciò che richiediamo agli adottanti) grazie al materiale informativo a disposizione sul nostro sito e ai canali social. Al tempo stesso, questi sono diventati preziosi per noi, perché diffondere le storie degli animali adottati dà un contributo importante al cambio di percezione nei confronti di alcune specie», commenta Martinelli.
Oltre a continuare a promuovere le adozioni (ovviamente consapevoli), quali sono oggi le sfide per il rehoming dei piccoli animali da laboratorio? Cosa servirebbe per rafforzare queste attività? «Personalmente, ritengo che ciò che manchi è una valutazione di potenziale. Abbiamo detto che noi lavoriamo con circa trenta strutture, ma quelle che usano animali a fini scientifici sono molte di più. E noi non abbiamo modo di sapere se gli animali che riceviamo sono davvero tutti quelli che avrebbero potuto essere ricollocati. Guardando avanti, quindi, in ottica di rafforzare sempre di più la pratica del rehoming, mi chiedo: sono sufficienti le nostre tre strutture (a Monza, Torino e Genova) o ne servirebbero dieci volte di più? Sapere con precisione cosa sarebbe possibile fare ci consentirebbe di organizzarci al meglio».