Oggi più che mai i ricercatori hanno il dovere della trasparenza e chiarezza, dettata non solo da un imperativo etico, ma anche dalla necessità di non veicolare illusioni e false certezze, come quella di un vaccino “rapido”…..un articolo del prof. Roberto Caminiti per Research4Life e Patto per la scienza
Roberto Caminiti
Professore di Fisiologia, Università di Roma SAPIENZA
In un mio articolo sul Sole24 Sanità del 31 marzo 2015, a proposito dell’importanza della trasparenza nella scienza contemporanea, scrivevo come “…la trasparenza deve ispirare il dubbio ed il pensiero critico che percorre le vene della vera scienza, ed essiccare quei terreni di cultura che nel nostro Paese hanno portato alla “cura Di Bella” per il cancro e a Stamina per le terapie delle malattie neurodegenerative. Un atteggiamento opaco dà spazio a spinte irrazionaliste, a falsi professori e moderni Dulcamara che con i loro elisir affollano le TV private e incredibilmente anche quelle pubbliche. È importante che gli scienziati non veicolino visioni furbamente sensazionalistiche dei loro risultati. Bisogna spiegare che non esistono centri nervosi che fanno di noi dei criminali o dei santi, ma piuttosto accendere il pensiero critico”.
Poiché la ricerca è largamente pagata dalle tasse dei cittadini, i ricercatori hanno l’obbligo di uscire dai loro chiostri e comunicare all’opinione pubblica i risultati e l’importanza della ricerca biomedica in forma semplice, sottolineando come nel medio-lungo periodo questa produrrà un rafforzamento dei servizi sanitari nazionali e un significativo vantaggio economico e di salute pubblica nei vari paesi.
Oggi, sotto la morsa del coronavirus, siamo bombardati da notizie sull’andamento dell’infezione, sul numero dei guariti e deceduti, sull’immunità di gregge, su modelli epidemiologici, tamponi mancanti, etc. ed ognuno tende a sviluppare una propria “visione” in merito (la mascherina non serve, gli anticorpi proteggono, l’afa estiva farà evaporare il virus, quindi tutti al mare, etc.) dettata da necessità ed aspettative, piuttosto che da un’analisi razionale dei fatti. Mai, come oggi, le opinioni pubbliche di tutti i Paesi scoprono la scienza, sebbene solo come temporanea consigliera di un potere politico inerme che, specie in Italia, ha tradizionalmente riempito le assemblee rappresentative di un ceto privo di competenze professionali e scientifiche sufficienti per operare in modo incisivo sulla realtà e sulle sfide, a volte estreme, che essa impone.
Oggi più che mai i ricercatori hanno il dovere della trasparenza e chiarezza, dettata non solo da un imperativo etico, ma anche dalla necessità di non veicolare illusioni e false certezze, come quella di un vaccino “rapido”, che bypassando fasi cruciali, quale la sperimentazione sugli animali, sarebbe disponibile entro l’autunno, un evento che i virologi più seri e responsabili ritengono altamente improbabile e perfino pericoloso. La comunicazione con l’opinione pubblica e la politica deve essere essenziale, poiché in passato gli scienziati sono stati muti ed oggi il loro dire attuale è più che mai mediato dall’interazione con il mondo dell’informazione. Questa, in Italia (e non solo) ha tradizionalmente avuto scarsa cognizione dell’impatto sulle nostre vite del metodo scientifico di galileiana memoria, come dimostrato dalle deboli redazioni scientifiche dei mezzi di informazione radiotelevisivi e della carta stampata, dal numero limitatissimo di scuole di giornalismo scientifico, dallo scarso rilievo che scienza e ricerca hanno nell’educazione scolastica. Oggi più che mai la scienza, piuttosto che assecondare facili speranze, ha il dovere e l’occasione di ispirare il dubbio, non come forma di nichilismo, ma come veicolo di quel pensiero critico che è l’essenza del suo agire.
L’esercizio del dubbio ha attraversato per secoli il pensiero filosofico e scientifico, a partire dalle scuole arabe e persiane che rifiutavano l’eredità della saggezza greca, ispiratrici di quel movimento chiamato al-shukuk (dubbi), come scritto in un bell’articolo di Jim Al-Khalili sul Guardian 1. Il dubbio come forma sistematica del pensare attraversa Socrate, Sant’Agostino, Cartesio, Kant, e più recentemente Wittgenstein, Popper, Kuhn, ed il laboratorio di zetetica, intesa come arte del dubbio, di Broch. Il principio di falsificabilità di Popper, pur nella sua radicalità, rimane una pietra miliare della scienza contemporanea. La vera scienza ha un incedere lento, perché si basa su intuizioni, ipotesi, verifiche sperimentali, pause, nuovi inizi ed anche fallimenti, ed i suoi risultati devono essere sempre falsificabili, altrimenti è fede o superstizione. L’esercizio del dubbio porta all’ammissione degli errori ed alla loro correzione e, attraverso ciò, svolge una funzione educativa, come premessa della diffusione di una visione critica della realtà.
Questo è oggi l’unico strumento che abbiamo anche per neutralizzare i veleni di creazionisti e teorici della cospirazione, quei moderni untori che hanno il loro terreno di cultura negli ambienti ultraconservatori cattolici USA, stretti amici di sovranisti e fascisti nostrani e sostenitori che il coronavirus è la maledizione divina in risposta all’abbandono della dottrina cristiana da parte dell’attuale Pontefice, da mandare al rogo come le streghe, i maghi e gli ebrei di Spagna ritenuti responsabili della pestilenza del 13002. Nel suo articolo sul Guardian, Al-Khalili nota opportunamente che, al contrario del metodo scientifico, i teorici della cospirazione accettano e diffondono solo quelle evidenze che confermano, piuttosto che confutare le loro credenze ed i movimenti politici che ad essi si ispirano considerano il pensiero critico una forma di debolezza e di perversione da estirpare dalle nostre società.
Sebbene “popolare” come mai, la scienza oggi si confronta con una doppia sfida: arginare l’attuale pandemia e convincere l’opinione pubblica e la politica che il suo fare non è caratterizzato da certezze, ma disseminato di fertili dubbi. Solo se questo atteggiamento culturale ispirerà anche la politica e la società tutta si potrà sconfiggere il coronavirus oggi o catastrofi prossime venture. Tra queste, temibilissime per le future generazioni sono quelle che deriveranno dagli effetti dei cambiamenti climatici, a tutt’oggi negati dai sovranisti di ogni genia, gli stessi che inizialmente hanno negato l’esistenza dell’attuale pandemia, esemplare il caso di Trump negli USA. Gli autocrati sfrutteranno future emergenze, come l’attuale, per avocare a sé i pieni poteri (vedi Orban in Ungheria) e restringere gli spazi della democrazia3, che dovrà sempre più fondare le sue basi sulla condivisione e sulla vera forza, e non debolezza, del pensiero critico.
La scienza ha molto da dire a tal proposito, ed è bene che lo faccia sempre, non solo quando interrogata da ceti politici impreparati e frettolosi, che non vanno solo informati criticamente sul da farsi, ma messi di fronte alle responsabilità passate sulla drammaticità del momento (e dei mesi a venire), quali il depotenziamento e frazionamento del sistema sanitario nazionale, della medicina di territorio, ed i tagli sistematici alla ricerca. Gli scienziati, come intellettuali, devono esercitare un ruolo critico che, abbandonando ogni narcisismo, mai dovrà assomigliare a quello di acritico “consigliere del Principe”. Non deve sorprendere che l’attuale Governo, nel difficile equilibrio tra salute ed economia, tenti di operare delle scelte ispirate da un approccio scientifico che, come nel “dilemma del prigioniero”, trova un suo equilibrio tra interesse individuale e collettivo pagando un inevitabile costo4
2 Da non perdere a tal proposito l’intervista di Daniela Minerva ad Andriano Prosperi sullo speciale COVID 19 di LIVE del 30 aprile.
3 Ezio Mauro, La pandemia aiuta gli autocrati, la Repubblica, 27 aprile 2020
4 Vittorio Pelligra, Il Sole 24 Ore, 20 Marzo 2020 (https://www.ilsole24ore.com/art/coronavirus-come-potrebbe-cambiare-regole-sociali-altruismo-e-opportunismo-ADr6A2E?refresh_ce=1).