A fine 2022 è stata approvata negli Stati Uniti una nuova legge in base alla quale non sarà più obbligatorio per la FDA testare i farmaci sui modelli animali prima di iniziare i trial clinici sugli umani. Tuttavia, ci sono ancora dei contesti in cui il passaggio negli animali risulta imprescindibile: ne parliamo con la Società Italiana di Farmacologia (SIF), ente aderente Research4Life
Ha destato un certo interesse, se non addirittura scalpore, il recente provvedimento FDA Modernization Act 2.0, firmato a fine 2022 dal presidente statunitense Joe Biden, nell’ambito del Consolidated Appropriations Act 2023 che permette alla FDA, organo di controllo governativo sulla regolamentazione dei farmaci statunitensi, di consentire l’immissione sul mercato anche di farmaci che non siano stati testati sugli animali.
È bene chiarire da subito che la scelta non impedisce affatto di impiegare gli animali nei test di efficacia e sicurezza per i farmaci, ma apre solo alla possibilità che ciò non avvenga. Per questa ragione, come spiega un articolo apparso su Science Magazine, è di fatto ancora poco chiaro quanto la nuova legislazione cambierà le cose. Rimane comunque un cambiamento storico, perché modifica il mandato federale in vigore dal 1938, che prevedeva l’obbligo di testare sugli animali la sicurezza e l’efficacia dei potenziali farmaci prima dell’autorizzazione alla sperimentazione clinica da parte della FDA. In altri termini, la FDA, a sua discrezione, potrà effettuare le proprie valutazioni sia in presenza sia in assenza di prove sperimentali sugli animali, sulla base, ovviamente, della disponibilità di metodi alternativi scientificamente fondati e validati.
Un bilancio tra etica, benessere animale e affidabilità dei metodi sperimentali
L’utilizzo di modelli animali nel processo di ricerca e sviluppo preclinico di nuovi approcci terapeutici rappresenta un argomento che attira sensibilmente l’attenzione della società e di conseguenza delle autorità governative internazionali e nazionali. La stessa sensibilità è presente all’interno della comunità scientifica e delle aziende farmaceutiche, chiamate a bilanciare gli aspetti etici, il benessere degli animali, la necessità di modelli sperimentali altamente predittivi dell’efficacia e della sicurezza di nuovi farmaci e le dettagliate richieste delle linee guida riconosciute dalle autorità regolatorie internazionali.
«La progressiva diminuzione dell’utilizzo di metodi in vivo è auspicata anche dalle imprese del farmaco per ragioni etiche, per rendere più̀ semplice e flessibile l’attività̀ nei laboratori e per ridurre i costi del processo di ricerca e sviluppo. Ma metodo alternativo deve essere sicuro: ciò significa che i suoi risultati devono essere attendibili almeno quanto quelli del sistema di riferimento che, fino ad oggi, rimane prevalentemente la sperimentazione nell’animale», commenta Giuliano Grignaschi, Segretario generale di Research4Life.
La nuova legge sembra aver polarizzato i commenti: salutata con entusiasmo da parte di diversi gruppi che si occupano di benessere e tutela degli animali, dal mondo della ricerca è invece stata accolta con la dovuta cautela. «Senza dubbio, le conoscenze scientifiche sempre più approfondite, unitamente allo sviluppo delle tecnologie informatiche contribuiranno a realizzare metodologie e strategie grazie alle quali utilizzare un numero sempre più ridotto di animali o, auspicabilmente, di abolirne l’uso ai fini scientifici. Ma è altrettanto vero che gli organismi umani sono molto complessi e mai perfettamente uguali tra loro. Proprio per tali motivi, gli attuali metodi alternativi/sostitutivi possono fornire risultati meno attendibili dal momento che non esiste modello artificiale capace di simulare o riprodurre tutte le complessità di un organismo vivente. Infatti, al momento, pochi metodi alternativi in vitro (con cellule isolate) o in silico (con il computer) sono riusciti a sostituire completamente la sperimentazione animale», spiega ancora Grignaschi.
«Nel campo degli studi di tossicità sono stati fatti grandi passi avanti per ridurre il numero di animali coinvolti nella sperimentazione. Ciò è stato possibile grazie, per esempio, a database con i quali analizzare la potenziale tossicità di una nuova sostanza sulla base delle sue caratteristiche chimico-fisiche e dei risultati degli altri studi di tossicità già effettuati, per evitare inutili ripetizioni», prosegue il nostro Segretario generale. «In futuro, sia i ricercatori sia le aziende farmaceutiche sperano di poter disporre di software capaci di mimare il meccanismo d’azione di una sostanza nell’organismo umano, per ampliare ulteriormente le possibilità dei metodi alternativi i cui processi di ricerca e sviluppo saranno fortemente condizionate non solo dagli investimenti privati, ma anche dall’attenzione che le istituzioni vorranno riservare a un’opportuna elargizione di specifici fondi pubblici».
Farmaci non testati sugli animali: il Q&A con SIF
Per quanto riguarda gli attuali limiti dei metodi alternativi, abbiamo approfondito la questione con i rappresentanti della Società Italiana di Farmacologia (SIF), soggetto aderente a Research4Life.
In quali ambiti è possibile ipotizzare che già oggi non sia più necessario testare i candidati farmaci nei modelli animali prima di passare all’essere umano?
Sicuramente gli studi cellulari e molecolari generano informazioni scientifiche che possono essere utilizzate nelle fasi iniziali di studio di un farmaco. Queste informazioni non possono però essere considerate predittive e/o direttamente traslabili all’essere umano, in termini di sicurezza ed efficacia, senza una verifica degli effetti in un essere vivente. Esiste al momento una lista di metodi alternativi approvati che possono essere complementari ma – non sostitutivi – dei metodi in vivo.
Nell’ambito degli studi di tossicologia (prevalentemente in acuto) sono stati fatti grandi passi avanti che hanno portato a nuove direttive europee ad esempio nel campo dei cosmetici che ora sono valutati e autorizzati senza l’utilizzo di animali da esperimento
In quali altri ambiti, invece , ritenete che ci voglia ancora del tempo prima che si possa ipotizzare di farlo, e perché? Ed esistono degli ambiti in cui ritenete che la possibilità di rinunciare al modello animale sia ancora particolarmente lontana?
La ricerca di nuovi farmaci che agiscono sul sistema nervoso sicuramente rappresenta quello che più di tutti necessita dell’uso della sperimentazione animale, perché è l’unica che permette di ottenere informazioni di tipo comportamentale. In particolare, va considerato che, per i nuovi farmaci, le autorità regolatorie richiedono la verifica della capacità di indurre dipendenza fisica e psichica, nonché fenomeni di astinenza provocati dall’interruzione della loro somministrazione. È immediatamente intuitivo che la ricerca debba necessariamente essere svolta in un organismo vivente, poiché al momento non esistono metodi alternativi per valutare i meccanismi patogenetici di malattie quali quelle psichiatriche. Infatti, la valutazione di efficacia nella depressione, ansia, dipendenza, dove essenzialmente si valuta il comportamento dell’individuo, necessita di un essere vivente non solo al fine di individuare i corretti trattamenti terapeutici ma anche e soprattutto gli eventuali effetti avversi.
Anche il Consiglio di Stato, con argomentazioni che entrano nel merito scientifico, ha subordinato l’uso di metodiche alternative alla dimostrazione ex ante della trasferibilità all’essere umano delle ricerche in corso, a giudizio degli organi competenti (European Research Council, Ministero della Salute, Consiglio Superiore di Sanità, OPBA, EMA, AIFA). Gli effetti di un farmaco non possono essere simulati o studiati con metodiche in vitro o in silico, perché non forniscono modelli predittivi degli effetti osservati in un sistema vivente (si veda la nota agli art. 5 e 25 relativi alla sperimentazione su modelli animali all’esame dell’A.C. 2325 “Conversione in legge del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162”).
Infine, nel 2021 il Ministero della saluteha stabilito che allo statoattuale la completa sostituzione del modello animale nello studio delle proprietà d’abuso dei farmaci non è realizzabile, in quanto non esistono metodi alternativi idonei in grado di valutare gli effetti comportamentali e neurobiologici e psicologici indotti dall’assunzione/somministrazione di una sostanza.
Come previsto dalla Direttiva Europea 63/2010 sulla tutela degli animali impiegati a scopi scientifici (di cui il D.Lvo 26/2014 rappresenta il recepimento italiano), si ritiene che debbano essere considerate valide tutte le metodiche di studio di un farmaco e che per esse sia consentito il ricorso al modello animale.
Quali sono i limiti attuali dei metodi che non richiedono l’uso del modello animale?
I limiti dei metodi alternativi sono numerosi e complessi: sarebbe difficile discuterli tutti nel dettaglio. Un aspetto che è comune però a tutti è che la semplificazione dei metodi alternativi non riesce ancora a sostituire in maniera chiara e predittiva quella che è la complessa rete di sistemi biologici coinvolti nei diversi quadri patologici. In particolare, con questi metodi (in continuo sviluppo), al momento non è possibile ancora determinare, con un accettabile coefficiente di rischio, quale sarà il reale effetto terapeutico nell’organismo vivente. Inoltre, non sono ancora disponibili metodiche che possono determinare/predire gli effetti tossici più o meno gravi che si possono verificare, a seguito della sua somministrazione in vivo, in altri organi e apparati che non sono il target diretto del farmaco.
In tal senso, il valore degli attuali metodi alternativi è di carattere suggestivo e complementare ma deve necessariamente essere verificato attraverso un modello integrato per garantire sicuramente l’efficacia ma anche la sicurezza. È importante ricordare che i modelli in vivo sono gli unici accettati dagli enti regolatori che li considerano predittivi di effetti farmacologici e tossicologici ai fini della caratterizzazione preclinica di un farmaco.
E’ una tematica complessa. Lungi da me l’idea di semplificarla. Ma che dietro i movimenti a difesa degli animali ci siano spesso le grandi aziende farmaceutiche, che spingono per una semplificazione della ricerca preclinica, è qualcosa che ho sempre pensato. Questo passaggio della legislazione USA non sarebbe avvenuto se la pressione fosse arrivata dai soli “animalisti” (che almeno hanno un punto di vista eticamente rispettabile).