L’associazione AAALAC ha recentemente assegnato il suo Global 3Rs Awards a Laura Calvillo, ricercatrice dell’Istituto Auxologico Italiano, per il suo lavoro su bioreattori che, collegati tra loro, permettono di indagare il dialogo biochimico tra cellule di tessuti diversi, mimando la situazione nell’organismo umano
Reduction, Refinement e Replacement: sono i principi delle 3R che oggi guidano la ricerca scientifica e che, senza porsi in contrasto con l’uso di modelli animali, ne promuovono un impiego responsabile e con forti basi etiche. Diverse sono le associazioni che istituiscono premi per le ricerche che vanno in questa direzione, supportando in modo significativo il principio delle 3R. Tra queste, il Global 3Rs Award dell’AAALAC International, un’associazione no profit che si pone come ponte di collegamento tra il progresso scientifico e il benessere degli animali. Quest’anno il loro premio è stato assegnato a una ricercatrice italiana, Laura Calvillo, che lavora da anni presso l’Istituto Auxologico Italiano studiando il ruolo della neuro-infiammazione nelle malattie cardiovascolari. Durante i suoi studi ha potuto anche dedicarsi alla quantificazione dell’eventuale stress percepito dagli animali e alle strategie per la riduzione degli stessi, arrivando poi ad introdurre particolari dispositivi sviluppati dalla bioingegneria, detti bioreattori, per lo studio di vie biochimiche troppo complesse per essere studiate negli animali da laboratorio. I bioreattori utilizzati per queste ricerche si pongono come mezzo di applicazione e di approccio globale 3R nella ricerca scientifica.
Iniziamo dalla fine: il premio ai bioreattori
È una ricerca in particolare ad aver portato all’assegnazione del premio internazionale: nel 2020, infatti, Laura Calvillo aveva coordinato e pubblicato un lavoro dedicato ai bioreattori, un tipo di apparecchiatura in cui possono essere coltivate cellule o organoidi d’interesse, collegato a particolari dispositivi in grado di simulare la perfusione del sangue, come avviene nell’organismo vivente.
«In pratica, il dispositivo che abbiamo usato crea una sorta di sistema circolatorio. Una pompa peristaltica funge da “cuore” ed è programmabile in modo che il flusso sia compatibile con gli organi o tessuti studiati. Dalla pompa fuoriescono dei tubicini in silicone, che hanno una funzione assimilabile a quella dei vasi sanguigni; a loro volta, questi tubi sono collegati ai bioreattori, piccole camere sterili e isolate dove crescono le cellule o gli organoidi», spiega Calvillo. «Questo circuito riproduce in maniera semplificata, ma senz’altro più fisiologica rispetto ad altre tecniche in-vitro, ciò che avviene nella realtà: il “sangue”, ossia il medium di coltura, scorre sulle cellule riproducendo lo stimolo dello shear-stress, cioè la sollecitazione causata dal sangue quando scorre sulle cellule, responsabile di molte risposte cellulari. Nel caso dell’organoide, il medium attraversa l’ammasso tridimensionale riproducendo la perfusione d’organo, compresa la disponibilità di ossigeno e nutrienti nella zona più interna dell’organoide, che li riceve con una ratio diversa rispetto a quanto avviene in superficie».
Nello studio premiato venivano studiati due tipi cellulari coltivati all’interno dei bioreattori. In una prima camera si trovavano cellule tipiche del miocardio umano, nella seconda invece erano coltivate cellule di tipo nervoso (più precisamente, si trattava di cellule di neuroblastoma umano, largamente impiegate come modello neuronale). Essendo collegati tra loro dal dispositivo di perfusione, i due tipi cellulari erano in grado di riprodurre, in modo semplificato, il dialogo che s’instaura tra i due tipi di tessuti. In altre parole, i due tipi cellulari erano in comunicazione e dunque stimoli applicati all’uno consentivano di valutare la risposta dell’altro.
«Abbiamo somministrato angiotensina 2, una sostanza che agisce da stimolo ipertensivo, a ciascun bioreattore, per poi andare ad analizzare i prodotti cellulari indotti dallo stimolo biochimico. Nella prima serie di esperimenti, i due bioreattori contenenti le due diverse specie cellulari erano scollegati tra loro; successivamente li abbiamo collegati», spiega ancora Calvillo. «Quindi abbiamo analizzato la risposta cellulare in entrambi i casi (scollegati o in comunicazione), valutando la produzione di particolari molecole a seguito della somministrazione di angiotensina 2. Nel primo caso, quando i bioreattori erano scollegati, non vi era la risposta biochimica da parte delle cellule; ma una volta in comunicazione, abbiamo potuto osservare nelle cellule del miocardio l’attivazione di di un particolare pathway denominato PKCbetaII/HuR/VEGF, che porta alla produzione di fattori associabili all’ipossia e all’angiogenesi».
Ma questo lavoro è solo l’ultimo di un lungo percorso di ricerca che ha visto Laura Calvillo e i suoi colleghi e colleghe impegnati, negli ultimi 15 anni, in un percorso basato proprio sulla applicazione globale “di tutte e tre le R” nella loro ricerca biomedica.
Un percorso sulle 3R
«In realtà, questo è solo l’ultimo passo di un percorso che mi ha portata dal lavoro sui piccoli roditori agli studi con i bioreattori. Il principio delle 3R, nel suo senso globale, non è solo legato alla riduzione dell’impiego di animali, ma anche a cercare strumenti e metodologie che siano davvero adeguate alle richieste della ricerca scientifica», commenta infatti Calvillo. «Già alcuni anni fa hanno cominciato ad accumularsi studi e dati che indicano quanto lo stress e il dolore possano influenzare la risposta dell’animale alla procedura, causando neuro-infiammazione e alterando risposte fisiologiche (o addirittura l’espressione genica), rischiando dunque di portare a bias nei risultati. Per i miei studi sull’infarto e sullo scompenso cardiaco ero già interessata a questo campo di ricerca: ho quindi associato la problematica del ruolo della neuro-infiammazione nella patologia cardiovascolare con quella dell’impatto che le metodiche stesse potessero avere sull’equilibrio neuro-infiammatorio degli animali. Per molto tempo ho raccolto e analizzato i filmati degli animali che usavamo nei nostri esperimenti, allo scopo di valutare e quantificare lo stress percepito durante le procedure».
Questo lavoro ha portato a diverse pubblicazioni focalizzate sulla corretta gestione dell’animale e sulle migliori combinazioni di analgesici da impiegare a seconda della procedura sperimentale in atto. Un importante risultato è anche stato quello di individuare i particolari parametri e comportamenti da monitorare nelle diverse procedure, per verificare se l’animale stesse provando disagio. Questi risultati sono stati ottenuti senza impiegare animali ad-hoc: «Abbiamo potuto ottenerli nel corso di altri esperimenti che dovevamo comunque eseguire, creando un nuovo approccio di Reduction e di Refinement che può essere impiegato da tutti i ricercatori, ossia filmare e monitorare il comportamento degli animali da laboratorio durante gli esperimenti, per aumentare le informazioni sul benessere dell’animale e ridurre il rischio di bias nei risultati», spiega la ricercatrice.
I problemi legati alla complessità degli organismi viventi, uniti ai bias indotti dalla neuro-infiammazione e dalle altre alterazioni provocate da stress e sofferenza, sono stati la spinta per cercare “qualcosa di diverso”. Gli avanzamenti tecnici e scientifici offrono oggi molti diversi modelli per la ricerca preclinica: individuare il più adatto dipende solo dalla domanda biomedica alla quale si cerca di dare una risposta.
Nella ricerca di Laura Calvillo e colleghi, il dispositivo più appropriato era il sistema di bioreattori brevettato dalla ditta italiana IVTech, che ha permesso, nello specifico, un Replacement parziale e una Reduction. Il sistema, infatti, consente di creare un dialogo biochimico tra cellule cardiache e nervose, nel quale è possibile indagare vie biochimiche che non si possono studiare nell’animale né, tantomeno, nelle cellule in coltura. «Il primo è troppo complesso per poter analizzare con esattezza quale stimolo induca una particolare risposta tra tessuti diversi: è come dover cercare, in tutto internet, una particolare chat avvenuta tra due specifiche persone», spiega la ricercatrice. «Al contrario, le cellule in coltura sono troppo semplici, nel senso che non consentono di ricreare il sistema di comunicazione che avviene fra cellule e organi nell’organismo vivente. Con questo nuovo sistema possiamo individuare pathway di interesse in modo più selettivo, senza il “disturbo” degli altri organi o sistemi», conclude la ricercatrice.