Molti media hanno ripreso le vicende giudiziarie che vedono imputata Aptuit, società della multinazionale farmaceutica Evotec. In assenza di una sentenza definitiva e della pubblicazione dei relativi atti, unici elementi che ci consentirebbero di esprimerci in modo informato e basato sulle prove, non intendiamo con questa nota, entrare nel merito degli aspetti giudiziari.

Tuttavia, ci sono due aspetti ricorrenti della narrazione mediatica sui quali ci sentiamo chiamati a intervenire per promuovere la correttezza degli aspetti scientifici e normativi sulla sperimentazione animale.

  • L’uso del termine vivisezione, ampiamente presente negli articoli dedicati. Non esiste una definizione legale del termine, anche se una sentenza della Corte di Cassazione del 2016 ha evidenziato come, sebbene nell’uso corrente il termine sia spesso usato come sinonimo di “sperimentazione animale”, possa a seconda del contesto assumere un significato offensivo e denigratorio.

    Più in generale, il termine richiama pratiche del passato che non tenevano in alcuna considerazione il benessere, fisico e psicologico, degli animali. Oggi la ricerca animale è strettamente normata a livello europeo e italiano, e prevede che le procedure debbano essere scelte in modo da causare il meno possibile dolore, sofferenza, angoscia o danno prolungato e offrano le maggiori probabilità di risultati soddisfacenti. Sono inoltre vietate procedure che causano gravi lesioni senza anestesia e se, passato l’effetto di quest’ultima, l’animale mostra segni di dolore, è richiesta la somministrazione di analgesici o metodi antidolorifici adeguati (Direttiva 2010/63/EU, recepita in Italia con il decreto legislativo 26/2014).

    Queste norme – unite alle molte altre volte a garantire il benessere degli animali – trovano le loro ragioni sia nell’etica sia nelle necessità della stessa ricerca scientifica: infatti, animali stressati e sofferenti hanno risposte (biologiche e comportamentali), molto diverse da quelle di un animale in salute; risposte tali da poter inficiare i risultati degli studi. Di conseguenza, per chi si occupa di sperimentazione animale, la tutela del loro benessere è fondamentale anche a livello pratico.
    A fronte di queste considerazioni, Research4Life richiama alla necessità di evitare il termine vivisezione in ogni contesto riferito alla ricerca e alla sperimentazione animale. Per un ulteriore approfondimento, rimandiamo all’articolo dedicato sul nostro sito.

  • La non necessarietà della sperimentazione animale. È un tema che ricorre spesso negli articoli dedicati alla vicenda Aptuit – e non solo. Purtroppo, gran parte degli studi scientifici non può, ancora oggi, fare a meno degli animali.

    La ragione per la quale è ancora necessario, in molti campi d’indagine, l’uso di animali è che nemmeno i più sofisticati e avanzati modelli alternativi (organ-on-a-chip, organoidi) consentono di replicare in modo affidabile e completo la complessità di un organismo vivente, le interazioni che si verificano tra i diversi organi e apparati, il metabolismo delle sostanze, i loro effetti a lungo termine, lo sviluppo di una malattia. Né possono replicare le differenze che si osservano negli organismi viventi a seconda di fattori quali genere, età, ambiente, relazioni sociali…

    I modelli alternativi sono di enorme aiuto a limitare l’uso di animali e in alcuni campi sperimentali hanno anche potuto sostituirli del tutto: è quanto avvenuto nel caso dei test per i prodotti cosmetici, per i quali infatti la sperimentazione animale è oggi vietata.

    Vale la pena ricordare, innanzitutto, che tali metodi (e nello specifico i metodi in vitro come culture cellulari, organoidi, organ-on-a-chip) non possono essere considerati cruelty free, perché necessitano ancora di derivati animali, in particolare del siero fetale bovino (per un approfondimento, qui il nostro articolo).

    La direttiva europea e la legge italiana che l’ha recepita vietano l’uso di animali laddove vi sono metodi alternativi validati, che garantiscano la stessa qualità, sicurezza ed efficacia dei dati. Pertanto, se un esperimento o un progetto di ricerca prevede l’uso di animali, deve essere sottoposto a una procedura di approvazione che prevede diverse fasi (si veda qui) e che richiede anche il parere tecnico-scientifico dell’Istituto superiore di sanità o del Consiglio superiore di sanità. Questa complessa procedura è volta a verificare ogni aspetto del progetto (comprese ovviamente le procedure previste, la loro gravità, la necessità di somministrare analgesici e/o anestetici, in quali modalità e quantità) e garantirne la necessità secondo una valutazione dei danni e dei benefici. Per minimi che siano i primi, la sperimentazione non può essere approvata se non dimostra chiaramente i propri potenziali benefici.

    In questo contesto, è spesso citata anche la decisione del presidente statunitense Biden di aprire l’immissione in commercio anche a farmaci non testati sugli animali (FDA Modernization Act 2.0, firmato nel 2022). È bene precisare che la decisione non è stata dell’FDA, l’ente regolatorio statunitense, come spesso erroneamente riportato. Invece, all’FDA è demandata la responsabilità di effettuare, a propria discrezione, le proprie valutazioni sia in presenza sia in assenza di prove sperimentali sugli animali, sulla base della disponibilità di metodi alternativi scientificamente fondati e validati. A oggi non ci risulta nessuna approvazione per una terapia o farmaco non testato sugli animali.

A queste precisazioni, che riteniamo necessarie per promuovere un’informazione corretta sulla sperimentazione animale, riteniamo di dover aggiungere un’ultima considerazione. Le norme europee e italiane sull’uso di animali in ambito scientifico sono tra le più avanzate a livello internazionale e sono volte a garantire la maggior tutela possibile degli animali stessi. Ma, anche se non potremo mai rendere le condizioni degli animali usati per la ricerca e che vivono in condizione di stabulazione identiche a quelle che avrebbero in natura (o in casa, per gli animali d’affezione), ciò non significa che non possano (e debbano) essere ulteriormente migliorate. Un miglioramento verso cui si muove la ricerca stessa: di nuovo, non solo per ragioni etiche, comunque imprescindibili, ma anche perché sempre più gli studi dimostrano come il benessere psicofisico degli animali possa garantire risposte migliori nei risultati sperimentali

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