Giuseppe Schiavone è un giovane ricercatore in bioelettronica presso l’EPFL, in Svizzera. Ha partecipato da poco – da finalista – all’evento Falling Walls Lab a Berlino, competizione internazionale per giovani talenti, ai quali si offre l’opportunità di presentare, in soli 3 minuti e davanti a una giuria di esperti, la propria idea di ricerca brillante e innovativa.
Gli abbiamo fatto qualche domanda e chiesto di raccontare la sua ricerca anche in video.
Giuseppe Schiavone, qualche cenno della tua biografia…
Sono nato in provincia di Bari e ho studiato al politecnico di Torino. Ho conseguito il dottorato di ricerca in microingegneria dall’università di Edimburgo e, dopo un po’ di peripezie professionali e geografiche, sono approdato all’EPFL in Svizzera dove ho vinto un finanziamento COFUND offerto congiuntamente da EPFL e Marie Skłodowska-Curie actions per fare ricerca su nuove tecnologie impiantabili. Il mio obiettivo professionale è riuscire a ottenere nell’arco dei prossimi due anni una posizione accademica più stabile per permettermi di condurre ricerca in maniera indipendente.
La tua ricerca in sintesi, che ti ha fatto arrivare in finale a “Falling walls”
Mi occupo di neuroprotesi realizzate con materiali morbidi. Sviluppo elettrodi che, impiantati a contatto con il sistema nervoso, riescono a captare o attivare artificialmente l’attività delle fibre nervose. Utilizziamo questi dispositivi in contesti clinici quali paralisi e disturbi del sistema nervoso. La sfida dal punto di vista tecnologico è quella di realizzare sistemi impiantabili impiegando materiali morbidi ed elastici che offrono migliore integrazione con il tessuto e riducono la reazione di rigetto.
Quindi concretamente come ti sei mosso per realizzare questi sistemi e sviluppare migliori neuroprotesi?
Entrando a lavorare in ambito med-tech, sono stato introdotto alla sperimentazione animale e ho potuto constatare in prima persona le difficoltà tecniche ed etiche che accompagnano questo tipo di ricerca. Nel campo specifico delle tecnologie impiantabili, numerosi test su animali non hanno esito positivo a causa di problemi legati ai materiali e al loro design. Purtroppo, però, i metodi di laboratorio oggi disponibili per il collaudo delle nuove tecnologie sono basati su standard aspecifici, che non riescono a prevedere le modalità di deterioramento che si producono effettivamente in vivo.
L’idea che abbiamo perseguito nel team e che ho presentato all’evento Falling Walls consiste nel cercare metodi alternativi per collaudare nuove tecnologie PRIMA di accedere alla sperimentazione animale. Abbiamo considerato un’applicazione del nostro portfolio (elettrodi di stimolazione per il midollo cervicale) e ne abbiamo riprodotto l’ambiente meccanico utilizzando immagini di risonanza magnetica e producendo modelli artificiali con materiali meccanicamente affini a quelli biologici. Abbiamo poi progettato una piattaforma che permette di riprodurre i movimenti fisiologici della colonna vertebrale cervicale, e immerso il modello in soluzione salina a 37°C. Questa piattaforma ci permette di riprodurre, dal punto di vista meccanico, termico, elettrico e, in prima approssimazione, chimico, le condizioni di sollecitazione a cui sono sottoposte le neuroprotesi.
Con quali risultati?
Questo ci ha permesso quindi di realizzare dei test di resistenza multimodali che consentono di eseguire uno screening delle tecnologie di laboratorio e identificare le opzioni più valide per l’applicazione in esame. Abbiamo utilizzato questa piattaforma ad esempio per verificare la robustezza dei nostri elettrodi e siamo riusciti a scoprire dei punti deboli nel design. A questo punto abbiamo apportato opportune modifiche e mitigato il problema, riuscendo a “irrobustire” la tecnologia. Questo loop di ottimizzazione è stato dunque possibile ancor prima di accedere alla sperimentazione animale.
L’idea alla base di questa dimostrazione preliminare è dunque la possibilità di migliorare i metodi di test che abbiamo oggi in laboratorio, introducendo sistemi personalizzati in base all’applicazione specifica. In questo modo riusciamo ad accedere alla fase di sperimentazione animale con una maggiore fiducia, in quanto abbiamo in mano delle tecnologie più robuste che hanno superato specifici test multimodali. In ultima analisi, possiamo ridurre il numero di test condotti sugli animali andando a mitigare la fase preliminare in cui si verifica la funzionalità tecnologica delle protesi.