Uno studio descrive lo sviluppo di organoidi di intestino, rene e polmone derivati dalle cellule progenitrici presenti nel liquido amniotico. Inoltre, il gruppo di ricerca ha sviluppato, sempre partendo dalle cellule del liquido amniotico, un organoide che ricapitola una rara malattia, l’ernia diaframmatica congenita, evidenziandone il potenziale per monitorare lo sviluppo del feto e valutare l’approccio terapeutico migliore in caso di patologie
Organoidi che consentano d’indagare lo sviluppo fetale ed eventuali patologie congenite così da poter, un giorno, anche individuare il miglior approccio terapeutico in modo personalizzato: è il risultato di uno studio, recentemente pubblicato su Nature Medicine, che apre la strada a un nuovo tipo di organoidi, finora mai realizzati.
Il gruppo di ricerca, guidato dal biologo Mattia Gerli e dal chirurgo Paolo De Coppi, entrambi allo University College di Londra, è riuscito infatti ad analizzare per la prima volta le cellule contenute del liquido amniotico, individuando le staminali tessuto-specifiche che permettono lo sviluppo dell’epitelio di polmoni, rene e intestino. Coltivate in 3D, queste cellule si sono sviluppate in organoidi – strutture che ricapitolano alcune caratteristiche tipiche dell’organo e che, provenendo da un organismo ancora in via di sviluppo, potrebbero consentire di monitorarne la crescita, individuando precocemente eventuali anomalie.
Non solo: infatti, i ricercatori non si sono limitati a sviluppare i tre organoidi “fisiologici” ma hanno anche messo a punto un modello patologico, quello dell’ernia diaframmatica congenita, che si è dimostrato utile per valutare, dal punto di vista funzionale, l’efficacia della chirurgia.
Quali cellule nel liquido amniotico?
Il liquido amniotico, che circonda e protegge il feto durante lo sviluppo, contiene diverse cellule provenienti dal feto stesso. Sono queste che, prelevate con l’amniocentesi, la diagnosi prenatale di alcune patologie genetiche e cromosomiche.
La presenza e la rilevanza di queste cellule sono note da tempo; non si conosceva, invece, il tipo esatto di cellule presenti. «Sapevamo che il liquido amniotico contiene piccole quantità di cellule staminali mesenchimali (coinvolte nella produzione e riparazione dei tessuto del sistema scheletrico) ed ematopoietiche, ma fino a pochi anni fa non avevamo a disposizione tecnologie che consentissero un’analisi dettagliata della popolazione delle cellule epiteliali, le più abbondanti nel liquido amniotico», spiega Mattia Gerli. «Nel nostro studio, abbiamo usato la tecnica del sequenziamento a singola cellula, che permette di analizzare le cellule in modo dettagliato, evidenziandole l’espressione genica e quindi le caratteristiche. In questo modo abbiamo potuto individuare, per la prima volta, le diverse sottopopolazioni di cellule epiteliali presenti nel liquido amniotico».
Così, il gruppo di ricerca ha potuto evidenziare la presenza di cellule progenitrici dell’epitelio di polmoni, reni e intestino. È stato il primo, fondamentale passo che ha portato all’idea successiva: perché non crearne organoidi che permettessero di seguire lo sviluppo?
Dal liquido amniotico agli organoidi
Oggi, infatti, le diagnosi prenatali possono avvalersi di tecniche sofisticate, ma che spesso non sono in grado di predire la gravità della patologia, né fornire indicazioni per trattamenti personalizzati, specifici per l’individuo.
Questo anche perché mancano modelli adatti: è possibile, in effetti, creare organoidi partendo da cellule staminali embrionali, fatte poi differenziare nei diversi tessuti. Così come è possibile crearli partendo da cellule artificialmente de-differenziate (le cosiddette cellule pluripotenti indotte) e poi nuovamente differenziate. Queste procedure, però, richiedono tempi troppo lunghi per permettere studi prenatali.
Gli organoidi sviluppati a partire dal liquido amniotico, invece, sono del tipo detto “primario”, cioè costituito da cellule che non sono manipolate ma, semplicemente, messe a cultura su un particolare supporto 3D, sul quale crescono e si sviluppano con le caratteristiche del tessuto d’origine. «Le cellule staminali epiteliali del polmone, per esempio, ricostruiscono il rivestimento interno, quello che consente il trasferimento di gas, la produzione di surfattante, muco e ciglia, quindi le funzioni principale dell’organo. Naturalmente, non si tratta di “mini organi”: mancano, per esempio, tutti i vasi e i nervi, ed è assente anche al componente stromale di supporto», spiega Gerli.
«I campioni di liquido amniotico da cui siamo partiti erano eccessi di amniocentesi già previste durante la gravidanza, raccolti da età comprese tra la 16 e la 34 settimana. Poiché gli organoidi si sviluppano in tempi piuttosto rapidi (circa un mese), possiamo lavorare con tempi utili anche in fasi gestazionali tardive, crescendo gli organoidi e usandoli come modello per monitorare lo sviluppo del feto o addirittura per testare farmaci specifici per l’individuo».
L’organoide per l’ernia diaframmatica congenita
Il gruppo di ricerca non si è però fermato qui ma ha anche iniziato a testare la possibilità di impiego degli organoidi nelle patologie prenatali. I ricercatori si sono concentrati sull’ernia diaframmatica congenita: «Si tratta di una condizione nella quale il diaframma non si chiude durante lo sviluppo e gli organi addominali si spostano nel torace, comprimendo i polmoni e impedendo loro di svilupparsi. La patologia interessa circa 1 su 4000 nuovi nati e ha il 30% di mortalità alla nascita», spiega Paolo De Coppi. «È una delle poche patologie che può beneficiare della chirurgia fetale: a circa 25 settimane, s’inserisce un palloncino nella trachea, così da impedire ai fluidi prodotti dal polmone di fuoriuscire; questo permette di espandere i polmoni contro gli organi provenienti dalla regione addominale e ne consente lo sviluppo».
Essendo tra le poche malattie trattabili ancor prima della nascita, l’ernia diaframmatica è anche tra le poche che consentiva di valutare se l’organoide derivato dal liquido amniotico fosse un buon modello, cioè se rispondesse al trattamento come l’organo interessato. Così, i ricercatori hanno esteso il loro lavoro sviluppando anche un organoide a partire da campioni di liquido amniotico provenienti da feti con ernia diaframmatica, e li hanno innanzitutto confrontati con organoidi sani di polmone. In questo modo, hanno potuto verificare come l’organoide di ernia diaframmatica presentasse una serie di caratteristiche patologiche, assenti in quello sano: per esempio, produceva minor quantità di surfattante, le ciglia dell’epitelio polmonare risultavano anomale, e in generale lo sviluppo era più difficoltoso.
Il risultato a maggior rilevanza clinica, però, è che questi organoidi sono in grado di mostrare anche la risposta all’intervento chirurgico. Infatti, crescendoli dal liquido prelevato successivamente all’intervento fetale (e derivante dalla procedura di estrazione del palloncino, che deve avvenire prima della fine della gravidanza per consentire la respirazione alla nascita), «Abbiamo potuto osservare come gli organoidi siano in grado di maturare; anche l’espressione genica corrisponde a quella del polmone funzionante», spiega De Coppi.
«I benefici della chirurgia fetale per l’ernia diaframmatica congenita sono ormai stati dimostrati, ma tutt’oggi è difficile capire quanto il polmone sia compromesso e se la chirurgia è l’approccio migliore. Avere a disposizione un organoide personalizzato potrebbe consentire di valutare al meglio la situazione e dunque il tipo di approccio migliore», continua De Coppi. «E, se si opta per l’intervento, l’organoide può consentire di valutarne l’efficacia».
Prospettive future
Idealmente, gli organoidi derivati dal liquido amniotico potrebbero essere usati nell’ambito della medicina rigenerativa, cioè per ripristinare tessuti danneggiati; verificare la gravità e le caratteristiche di una malattia rilevata attraverso la diagnostica classica (come gli ultrasuoni) e valutare il miglior approccio terapeutico, oppure anche per verificare il farmaco più adatto a quello specifico feto. «In effetti, nel caso per esempio dell’ernia diaframmatica congenita, vi sono alcuni farmaci che possono essere usati per supportare lo sviluppo del polmone, e ora stiamo lavorando per capire se l’organoide possa servire da modello per il loro utilizzo, così da individuare quello che funziona meglio per il trattamento del feto», spiega Gerli.
Inoltre, continua il ricercatore, il gruppo sta anche cercando di sviluppare organoidi più complessi e più somiglianti alla situazione reale. «I nostri organoidi presentano la sola componente epiteliale degli organi: quello che vorremmo fare è sviluppare delle co-culture di diversi tipi di cellule, come avviene nell’organismo umano. Il problema, in questo caso, è che dal liquido amniotico possiamo derivare solo alcuni tipi cellulari».
Gli organoidi sviluppati dal liquido amniotico non sono ancora pronti per l’uso in clinica, ma sono la chiara dimostrazione di una possibilità ora aperta. Come spesso avviene, però, non si tratta di modelli propriamente alternativi, quanto complementari: «È importante sottolineare che si tratta di modelli che, speriamo, si potranno aggiungere alla diagnostica e alla medicina prenatale, ma non sostituiscono la necessitò di accedere al tessuto fetale», concludono Gerli e De Coppi. «Questo per sia perché gli organoidi sono sistemi molto semplificati degli organi, sia perché abbiamo accesso a tre soli tessuti, e a sole cellule epiteliali. Dai diversi tessuti fetali, invece, si possono derivare tutti i tipi cellulari».