I maiali hanno sempre più importanza nella ricerca biomedica: diamo una panoramica delle ragioni che portano all’uso di questa specie, evidenziando alcune delle applicazioni che trovano sia nella ricerca di base sia in quella applicata

Topi, ratti, zebrafish, cavie e primati non umani sono alcuni dei gruppi di animali più comunemente associati alla ricerca biomedica nell’immaginario comune. Nei fatti, sono affiancati da diverse altre specie (le principali le abbiamo riportate qui), tra le quali un interesse sempre maggiore è riservato ai maiali. Secondo il più recente report della Commissione europea, nel 2022 ne sono stati usati per la prima volta quasi 87.000, rappresentando gli animali da fattoria in assoluto più utilizzati a scopi scientifici.

I maiali sono stati molto studiati per le loro abilità sociali e cognitive. Per esempio, hanno una buona memoria spaziale, sono in grado di discriminare oggetti, si riconoscono tra loro e riconoscono gli umani noti, hanno dimostrato l’uso di strumenti, possono essere addestrati a rispondere a comandi vocali eccetera. Ma, al di là di questi studi che ne hanno indagato gli aspetti socio-cognitivi, quel è il loro ruolo nella ricerca biomedica? Riportiamo alcuni degli aspetti principali che li rendono tanto spesso indispensabili in questo campo e alcuni degli ambiti di studio che li vedono coinvolti.

Umani e maiali: questione di similitudine

La scelta di un modello animale per un determinato studio il cui destinatario finale sia l’essere umano si basa su diversi fattori, il principale dei quali è però la somiglianza (fisiologica, anatomica, genetica) con la nostra specie. Naturalmente, nessuna specie è esattamente identica alla nostra ma ciascuna presenta delle differenze di cui è fondamentale tenere conto; tuttavia, nel tempo sono emersi anche molti elementi di similitudine la cui considerazione è altrettanto importante. E se nel linguaggio comune il paragone di una persona con un maiale rappresenta un insulto, dal punto di vista biologico ha invece molti aspetti di realtà, perché condividiamo molto con questa specie.

Gli organi di alcune razze di suini, per esempio, risultano molto simili ai nostri per struttura e dimensioni (questo non vale per le specie allevate per la carne, che sono notevolmente più grandi). Ma condividiamo anche molti processi metabolici (condividiamo anche una certa percentuale del microbiota intestinale) e il modello di distribuzione del grasso corporeo, e ancora diversi aspetti del sistema immunitario: per esempio, anche i maiali hanno le tonsille, che sono assenti invece nei roditori. In linea di massima, si può stimare che, analizzando specifici parametri, il sistema immunitario suino sia per l’80% simile al nostro, mentre quello dei topi lo è solo per il 10% circa. E ci sono delle analogie interessanti anche dal punto di vista genetico: per esempio, i genomi umano e suino hanno approssimativamente lo stesso numero di geni.

Sempre dal punto di vista genetico, c’è un altro aspetto che rende i maiali importanti nella ricerca biomedica, ed è rappresentato dallo sviluppo delle tecnologie di modifica genetica, che hanno permesso non solo di replicare sempre meglio nei maiali alcune malattie umane ma anche, per esempio, di silenziare i geni coinvolti nel rigetto, cioè in grado di attivare la risposta immunitaria quando un organo è trapiantato da un individuo all’altro. Proprio quest’aspetto ha reso i maiali la specie di riferimento per la ricerca nel campo degli xenotrapianti, di cui abbiamo spesso parlato.

I minipig

Abbiamo accennato a come le razze di maiali usate per l’allevamento differiscano dalla nostra specie in termini di dimensioni (e quindi dimensioni relative degli organi). Le loro dimensioni hanno anche un altro svantaggio, per quanto riguarda l’ambito biomedico: li rende, cioè, difficili da gestire negli ambienti di laboratorio. Per queste ragioni, i maiali abitualmente usati sono i cosiddetti minipig, una varietà selezionata per avere dimensioni ridotte pur mantenendo, ovviamente, le similitudini anatomiche, fisiologiche e genetiche con la nostra specie.

Esistono diverse razze di minipig, alcune naturali e altre frutto della selezione da parte dei ricercatori. Per esempio, lo Yucatan è una razza molto usata, nativa del Nord America, che da adulta arriva a pesare al massimo un’ottantina di chili. Anche il Sinclair è una razza he si ritrova di frequente negli studi biomedici, ma è stata creata dall’Università del Minnesota ed è leggermente più piccola, con adulti che pesano al massimo 70 chili. Una delle razze più usate in assoluto, soprattutto in campo farmacologico e tossicologico, è il minipig di Göttingen, sviluppato in Germania negli anni ’60, che da adulto pesa intorno ai 35 chili (e che, come altre razze, è spesso commerciato anche come animale d’affezione, sebbene lo sviluppo dei minipig nasca in modo specifico per scopi scientifici).

Alcuni esempi di uso dei maiali a scopo scientifico

Le caratteristiche dei maiali li hanno resi un modello prezioso in diversi campi scientifici, a partire dalla ricerca. Sono, per esempio, modelli importanti nello studio dei disturbi cardiovascolari e per quelli che riguardano la pelle: quella suina, infatti, è significativamente simile alla nostra e li ha resi centrali nella ricerca sulla guarigione delle ferite e negli studi di farmacologia e tossicologia, per esempio per la somministrazione sia di trattamenti cutanei sia di modalità alternative per somministrare trattamenti non dermatologici (per esempio, farmaci antinfiammatori), tanto più che anche il loro sistema renale, coinvolto nel metabolismo di alcuni farmaci, è simile al nostro.

Un altro campo è lo sviluppo di alcuni vaccini, grazie alle somiglianze tra il sistema immunitario suino e umano. Vale la pena precisare in questo contesto che vengono condotti molti studi anche ai vaccini per i suini stessi, sia perché le infezioni sono un problema significativo nell’allevamento per la carne, sia perché alcune hanno trasmissione zoonotica e possono essere trasmesse agli umani. È il caso, rispettivamente, degli studi sul vaccino contro la peste suina africana (che non ha trasmissione zoonotica) e di quelli sul vaccino contro il virus Nipah (che invece si può trasmettere agli umani).
Sempre in virtù delle loro somiglianze con la nostra specie, i maiali sono anche importanti per la formazione chirurgica e per gli studi volti a migliorare gli interventi e i trattamenti, compresi quelli oncologici – anche perché un altro elemento di similitudine tra noi e i suini evidenziato dagli studi di biologia è nei meccanismi che portano allo sviluppo dei tumori. In questo contesto vale anche al pena ricordare il ruolo essenziale che i maiali hanno nell’ambito degli studi sugli xenotrapianti, che hanno già visto i primi interventi su pazienti umani vivi.

Un ruolo importante nel contesto biomedico lo hanno gli animali “umanizzati”, cioè nei quali sono state inserite modifiche genetiche che permettono di simulare meglio le patologie umane. Per quanto riguarda i maiali, sono diventati modelli importanti per esempio della malattia di Huntington, una patologia neurodegenerativa, e della fibrosi cistica, una malattia genetica che interessa soprattutto polmoni e pancreas.

Naturalmente, per importante che sia il ruolo dei maiali in questi e altri studi biomedici, la ricerca non trascura l’uso dei modelli alternativi. In molti di questi campi, anzi, sistemi in vitro come culture cellulari anche avanzate sono uno strumento fondamentale che si affianca all’uso degli animali, consentendo di ridurre il numero di individui utilizzati. Alcuni processi patologici e strategie terapeutiche, però, hanno comunque bisogno anche del modello animale, che permette di indagare tutta la complessità dei processi biologici di un organismo vivente.

«La ricerca non ha evidenziato solo il ruolo che i maiali possono avere nello studio dei meccanismi e dei possibili trattamenti di molte malattie umane, ma anche le enormi abilità cognitive e sociali di questi animali. Abilità che evidenziano ulteriormente l’importanza di tutelare il benessere degli animali usati in campo scientifico, un aspetto normato dalla legge e necessario per la ricerca stessa, sia per ragioni etiche sia per garantire risultati corretti. Tanto che molti studi sono volti proprio a capire come riconoscere tempestivamente segnali di stress e sofferenza e alle strategie migliori per prevenirli e minimizzarli», commenta Giuliano Grignaschi, portavoce di Research4Life. «Sotto questo aspetto, ricerca scientifica potrebbe quindi rappresentare un modello di riferimento anche per un trattamento etico degli animali in altri settori, come l’allevamento da carne».

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