La sperimentazione animale resta un modello imprescindibile per la messa a punto di nuove terapie in grado di ridare speranza a molti pazienti, come descritto perfettamente in questa intervista a Barbara Buonsanto, madre di una bimba di 7 anni affetta da SMARD1. Purtroppo di questo argomento si parla tanto ma in modo poco informato e soprattutto le associazioni di protezione degli animali tendono ad interpretare i dati in maniera scientificamente scorretta. In questo articolo cerchiamo di analizzare oggettivamente i dati recentemente pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana (Serie Generale- n. 197, consultabile a questo link) relativi al numero di animali utilizzati in Italia ai fini scientifici, nell’anno 2015.
Prima di entrare nel dettaglio dei numeri è importante ricordare che questo tipo di rendicontazione è in vigore dal 2014, anno del recepimento della Direttiva Europea 63/2010 implementata in Italia con il tanto discusso D.Lgs 26/2014. Con l’entrata in vigore del decreto, l’Italia si è allineata al resto dei paesi membri dell’unione anche per i criteri di rendicontazione degli animali utilizzati ai fini scientifici quindi i dati sono ora pienamente comparabili tra i paesi dell’unione. E’ viceversa difficile un paragone preciso con gli anni precedenti al 2014 proprio per i differenti criteri di rendicontazione entrati in vigore con la nuova normativa; cercheremo tuttavia di delineare le tendenze più evidenti.
Il primo punto da considerare è che la Tabella 1 riporta i dati relativi agli animali utilizzati per la prima volta (naive) in una procedura, mentre la Tabella 4 riporta i dati totali delle procedure effettuate, considerando quindi anche i pochi casi di riutilizzo. Il numero totale di animali utilizzati è stato nel 2015 di 581.935 unità e di questi 4764 sono stati “riutilizzati” portando il numero totale delle procedure effettuate a 586.699; comunque si vogliano guardare questi dati indicano una riduzione del 15% rispetto al 2014. Considerando un periodo di tempo più lungo, i dati ci dicono che dal 2001 al 2014 la riduzione è stata del 26 % (da 923.594 a 691.666) mentre nel solo 2015 il calo è
stato percentualmente molto maggiore (Fonte: Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana).
Sempre nel 2015, i dati relativi agli altri paesi europei sono i seguenti: Germania 2.799.961, Gran Bretagna 4.142.631, Spagna 858.946, Belgio 566.603, Francia (dato del 2014) 1.769.618 etc. Per quanto riguarda invece paesi non appartenenti alla EU ma comunque molto vicini, la Svizzera nel 2015 ha utilizzato 682.333 animali (fonte speaking of research) mentre paesi extra europei come Canada (3.570.352) o Corea del Sud (2.878.907) o Stati Uniti (circa 25.000.000) si attestano su valori molto più elevati.
La riduzione nei numeri osservata in Italia nel 2015 sembra quindi correlare più con le difficoltà economiche del paese (ricordiamo che il modello animale è molto dispendioso), che hanno portato ad una riduzione dei finanziamenti alla ricerca, che con lo sviluppo di metodologie alternative (3R). A conferma di questo è importante notare come la riduzione del numero di animali utilizzati non sia a carico degli studi regolatori, che al contrario hanno visto un aumento del 14%, ma di quelli di ricerca di base (-24%) e traslazionale (-33%) che coinvolge principalmente roditori (vedi Tabella 5).
Credo vada inoltre la pena sottolineare come, in accordo con la normativa, non siano stati utilizzati primati non umani prelevati in natura ma solo animali allevati in cattività (Tabella 3); purtroppo il D.Lgs 26/2014 ha vietato l’allevamento, ma non l’utilizzo, di primati non umani a scopo scientifico sul territorio italiano (in palese violazione della Direttiva EU) quindi i ricercatori sono costretti ad acquistarli all’estero e trasferirli in Italia. Questa procedura, che è in evidente contrasto con i principi di benessere degli animali, fortemente voluta dalle associazioni animaliste nella trasposizione della direttiva EU, si sta ora rivelando per quello che è e che noi abbiamo sempre denunciato: un danno per gli animali stessi!
Da ultimo vale la pena notare che il numero di procedure effettuate su cani (esclusivamente di carattere regolatorio come indicato in Tabella 5) è leggermente aumentato (601 vs 500) ma che nessuna di queste apparteneva alla categoria di sofferenza classificata come “grave” (Tabella 6). L’analisi dei livelli di sofferenza effettivamente subita dagli animali (Tabella 6) sembra indicare che circa il 6.5% dei soggetti è sottoposto a procedure classificate come “gravi” (85% di questi animali sono roditori) mentre il 47% è sottoposto a procedure con livello di sofferenza “lieve” e il 40% a sofferenze “moderate”. La valutazione della effettiva sofferenza subita dagli animali tuttavia è ancora oggetto di approfondimento quindi non è da escludere che questo dato subisca importanti modifiche nei prossimi anni.
Giuliano Grignaschi