Pubblichiamo la replica del segretario generale di Research4Life Giuliano Grignaschi, pubblicata sul Corriere di Novara il 21 maggio 2016, in risposta alle affermazioni di alcune associazioni animaliste locali:
Leggo della richiesta di delucidazioni, da parte di diverse associazioni di società civile e comitati di cittadinanza, in merito alla possibilità che al Pisu di Sant’Agabio si applichi “l’abominevole pratica della vivisezione” (sic). E’ importante chiarire che le pratiche propriamente chiamate “vivisezione” sono ormai state ampiamente messe al bando sia nella pratica quotidiana della sperimentazione, che fa uso delle tecniche più avanzate (anestesia, analgesia, tecniche non invasive), che nella legislazione che norma la protezione degli animali utilizzati nella sperimentazione. La vivisezione, intesa come insieme di procedure che causino gravi e non alleviabili sofferenze agli animali, è infatti vietata sia dalla legislazione europea che da quella italiana (D.Lvo 26/2014, Art 15, Comma 2). Non hanno quindi, i suddetti comitati e associazioni, di che temere.
Se la preoccupazione deriva invece dall’uso degli animali tout court, i dati parlano chiaro: la comunità scientifica mondiale è compatta nel sostenere che senza i test sugli animali la ricerca biomedica subirebbe un rallentamento insostenibile. Un sondaggio effettuato dalla più prestigiosa rivista scientifica mondiale (Nature) indica che circa il 95% dei ricercatori concorda sul fatto che i modelli animali siano ancora essenziali per l’avanzamento delle conoscenze biomediche e quindi per lo sviluppo di nuove terapie (farmaci, dispositivi biomedici, trapianti) sia per l’uomo che per gli animali stessi. Su questa consapevolezza si basano le normative che, in tutto il mondo, impongono test sugli animali prima di passare all’uomo, allo scopo di evitare gravi rischi per i malati. Nonostante la tecnologia faccia passi da gigante, nel mondo sono solo 99 i “metodi alternativi” al modello animale validati (un numero di diversi ordini di grandezza più piccolo rispetto a tutte le applicazioni dei modelli animali in ricerca medica), di cui circa la metà permettono di non usare animali vivi (total Replacement) mentre gli altri ne riducono l’uso (Reduction) o migliorano le loro condizioni (Refinement) secondo la regola delle 3R dettata ormai 60 anni fa.
Ciononostante i gruppi che si definiscono animalisti chiedono il blocco totale della sperimentazione animale senza spiegare però chi pagherebbe il prezzo di questo divieto (ammalati in primis), e chi si assumerebbe la responsabilità delle conseguenze. In una società che ogni anno, con la sola deratizzazione, uccide 10 volte più animali di quelli utilizzati in ricerca, è etico chiedere ai nostri ammalati questo ulteriore sacrificio? E mentre in Italia si dibatte sulla sperimentazione animale, la Commissione Europea ci multa perché la nostra normativa è esageratamente restrittiva rispetto a quella di tutto il resto d’Europa (e del mondo). Il prezzo di simili divieti non lo pagano dunque solo i malati (e i ricercatori, costretti a migrare in altri Paesi per svolgere il loro lavoro), ma tutti noi cittadini che con i nostri soldi paghiamo restrizioni imposte senza nessuna base scientifica.