La proteina Morgana è coinvolta nella capacità di alcuni tumori di formare metastasi. Alcuni ricercatori torinesi hanno sviluppato un anticorpo specifico contro questa proteina, in grado di ridurre in animali di laboratorio sia il rischio di metastasi sia la crescita tumorale
Da alcuni anni il gruppo di ricerca guidato da Mara Brancaccio all’Università di Torino si occupa di Morgana, una proteina coinvolta nella regolazione di HSP90, tra le più note e studiate proteine di stress, o proteine chaperone. «Sono molecole che permettono alle cellule di sopravvivere in condizioni critiche quali presenza di tossine, elevata temperatura, mancanza di ossigeno», spiega la ricercatrice. «Non a caso sono spesso presenti a concentrazioni superiori alla norma nelle cellule tumorali, che crescono proprio in ambienti stressanti». Nel loro ultimo studio, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Cancer Research, Brancaccio e colleghi hanno chiarito come Morgana sia coinvolta nella formazione di metastasi, aprendo la strada a nuove e inattese prospettive terapeutiche.
Gli esperimenti sono stati condotti sia con cellule tumorali sia in topi con tumori della mammella o del colon-retto. «Il lavoro con questi animali è stato fondamentale, perché ci siamo occupati di interazioni tra tumori e sistema immunitario così complesse da non poter ancora essere ricostruite o simulate al di fuori di un organismo completo come quello di un animale. Ecco perché della sperimentazione animale non si può fare a meno», sottolinea la ricercatrice. «Limitarla ulteriormente significherebbe tagliar fuori l’Italia dalla ricerca internazionale».
Si sa da tempo che le cellule tumorali rilasciano HSP90 all’esterno dell’ambiente cellulare e che proprio dall’esterno questa proteina agisce favorendo la capacità di formare metastasi del tumore. Ora i ricercatori torinesi hanno scoperto che anche Morgana viene rilasciata all’esterno dalle cellule tumorali. «Una volta secreta, interagisce con HSP90 ed è questa interazione a favorire la mobilità e la metastatizzazione delle cellule tumorali». Da qui l’idea di produrre un anticorpo in grado di riconoscere e legare Morgana in modo specifico per bloccare l’attività del complesso formato da questa proteina con HPS90. «Abbiamo scoperto che, quando è iniettato nei topi, questo anticorpo non si limita, come atteso, a ridurre la metastatizzazione, ma inibisce anche la crescita del tumore, cosa che non ci aspettavamo. Un effetto dovuto alla sua capacità di richiamare nel microambiente tumorale particolari cellule del sistema immunitario (macrofagi) che a loro volta attirano linfociti in grado di uccidere le cellule tumorali».
Questo anticorpo potrebbe quindi essere utilizzato in combinazione con altri farmaci per ottimizzare l’immunoterapia nei casi in cui non è particolarmente efficace. Secondo Brancaccio, queste osservazioni potrebbero rivelarsi valide anche per altri tipi di tumori, oltre a quelli presi in considerazione. I risultati ottenuti dovranno ora essere validati in ulteriori studi prima di poter essere applicati alla pratica clinica. Lo studio è stato ampiamente sostenuto da Fondazione AIRC.