L’oncologia veterinaria, soprattutto per i cani, è un campo che ha conosciuto enorme sviluppo negli ultimi anni, portando anche a trial clinici che coinvolgono non animali da laboratorio ma cani di proprietà affetti da malattia oncologica spontanea. È una ricerca che spesso fornisce informazioni e risultati fruibili anche per la medicina umana – così come alcune terapie sviluppate per la nostra specie si sono rivelate efficaci per i cani. Ne parliamo con Damiano Stefanello, medico veterinario e professore ordinario di Chirurgia Veterinaria della Statale di Milano

Se diamo un’occhiata alle statistiche europee sull’uso degli animali per la ricerca scientifica (qui le più recenti, riferite al 2020) appare evidente che per la gran parte sono dedicati alla ricerca per la salute umana. Ma “in gran parte” non significa esclusivamente: in effetti, per quanto riguarda la ricerca di base (che, insieme a quella traslazionale/applicata, rappresenta il maggior campo d’uso degli animali), lo studio di etologia, comportamento e biologia animale è tra quelli che ha visto maggior uso di animali in assoluto. Anche spostando lo sguardo alla ricerca traslazionale e applicata, l’uso di animali si concentra negli studi sul benessere e le malattie degli animali stessi.

Insomma, guardando queste statistiche appare evidente che l’uso di animali in ricerca non è a esclusivo beneficio della nostra specie. È un aspetto che dovrebbe essere intuitivo: per esempio, chi vive con animali da compagnia (anche non convenzionali) sa bene che dovrà ricorrere a vaccini e spesso a farmaci necessari a garantire una buona qualità di vita – vaccini e farmaci che prima di essere messi in commercio devono seguire procedure di controllo, in termini di efficacia e sicurezza, proprio come quelli usati per l’essere umano, e di conseguenza devono essere testati sugli animali. In alcuni casi, la ricerca è volta anche alle specie selvatiche, come nel caso nel vaccino contro la rabbia per volpi e cani procione. Nella maggior parte dei casi, questi studi vedono intrecciarsi strettamente la ricerca per la tutela della salute umana con quella delle altre specie nell’ottica del concetto del OneHealth, cui si ispirano molte ricerche, perché i risultati ottenuti dall’una possono poi essere applicati all’altra.

La medicina veterinaria per gli animali d’affezione, in particolare, si è sviluppata moltissimo negli ultimi anni, portando a progetti di ricerca molto avanzati e nei quali, sempre più, a essere coinvolti sono animali di proprietà affetti naturalmente da malattia spontanea. Ne parliamo con Damiano Stefanello, professore ordinario di Chirurgia Veterinaria all’Università degli Studi di Milano.

Di cosa si occupa nel suo lavoro?

La mia attività professionale unisce la docenza universitaria in tema di malattie chirurgiche del cane e del gatto con l’attività clinico assistenziale, aperta alla popolazione che ne fa richiesta, presso l’Ospedale Veterinario Universitario e lo studio e la ricerca oncologica nel cane e nel gatto. Significa che, oltre a svolgere l’attività di medico-veterinario, conduco progetti di ricerca che mirano a migliorare l’efficacia delle terapie oncologiche, per qualità di vita e aumento dei tempi di sopravvivenza del cane e del gatto: si tratta di un campo diventato negli ultimi vent’anni incredibilmente attivo, grazie alla maggior sensibilità e attenzione nei confronti degli animali d’affezione, che li considera, almeno nel mondo occidentale, veri e propri membri della famiglia.

In particolare, sempre più seguiamo ed eseguiamo (e vediamo condurre in altri paesi) trial clinici sui tumori spontanei dei cani.

Perché proprio sui tumori spontanei? E cos’hanno di diverso questi trial rispetto alla classica sperimentazione in ambito veterinario?

I cani condividono con la nostra specie un enorme numero di geni e molte malattie oncologiche sono simili, anche per il loro comportamento biologico. Il sequenziamento del genoma canino ha rivelato che tutti i 19.000 geni identificati sono ortologhi, o almeno simili, ai geni umani. In particolare, studi comparativi di espressione genica nei tumori canini e umani hanno rivelato che c’è una stretta corrispondenza in termini di genetica e marcatori molecolari, sostenendo così la sovrapposizione tra la biologia del cancro canino e umano.

Soprattutto, lo sviluppo di un tumore spontaneo nel cane avviene in un organismo molto più “realistico” rispetto a un animale da laboratorio: il tumore si sviluppa, cioè, in soggetti immunocompetenti, che inoltre condividono lo stesso ambiente del proprietario in termini, per esempio, di esposizione a sostanze cancerogene derivanti dall’inquinamento o dall’esposizione al fumo passivo. I processi di inizio e progressione del tumore nell’umano e nel cane sono influenzati dagli stessi fattori, tra cui età, alimentazione, sesso e ambiente. Vivendo in stretta vicinanza e condividendo lo stesso ambiente con i loro proprietari, i cani mostrano lo stesso modello di sviluppo del cancro, e potrebbero, quindi, essere considerati sentinelle epidemiologiche o eziologiche della malattia.

Negli ultimi anni sono quindi partiti nel mondo diversi trial clinici nei quali, invece di sperimentare una terapia (chemio e radioterapia ma anche, sempre più, immunoterapia) sugli animali di laboratorio, si arruolano cani di proprietà già ammalati spontaneamente di cancro: si tratta di studi in cui il cane accede alla strutture di cura veterinaria per il trattamento e non viene gestito in uno stabulario, per questo per l’accesso a questi progetti è sufficiente il consenso del proprietario previa valutazione dell’intero progetto di comitati etici (come l’OPBA).

Ci sono esempi sullo studio di nuove terapie per linfoma, mastocitoma, osteosarcoma, melanoma ed emangiosarcoma (in rete sono disponibili gli studi attivi in Italia presso l’Università di Bologna, come questo, e Torino, per citarne solo alcuni). Proprio di recente abbiamo iniziato anche noi, presso l’Ospedale Veterinario Universitario della Statale di Milano, una ricerca di medicina oncologica traslazionale nella quale somministriamo un farmaco a un bersaglio mai testato prima in cani affetti da malattia oncologica spontanea in stadio avanzato, con probabilità di sopravvivenza molto limitate.

Naturalmente, intervenire con una terapia mai testata prima rappresenta un rischio per gli animali. Tuttavia dobbiamo considerare che molte malattie oncologiche canine e feline (e non solo) sono orfane di farmaci specifici, e spesso – come nel caso di malattie oncologiche – hanno una prognosi infausta. Per questo, di solito, i proprietari accolgono in modo molto positivo il trial, tanto più che le prestazioni medico-veterinarie e i farmaci veterinari non sono coperti dal Servizio sanitario nazionale e sono costosi, ma sono gratuiti per chi aderisce alla sperimentazione clinica: i costi sono sostenuti da fondi di ricerca nazionali, internazionali o finanziati direttamente da aziende farmaceutiche o da donazioni di privati.

Ci sono molti esempi di come terapie messe a punto per la nostra specie si sono poi rivelate efficaci anche per altre. In campo oncologico, un esempio significativo è quello dell’anticorpo monoclonale trastuzumab, sviluppato per alcune forme di tumore mammario umano ma rivelatosi efficace anche per quelle canine. Vale anche il contrario? I risultati di questo tipo di studi e trials condotti sui cani di proprietà restano confinati nel campo veterinario, oppure possono fornire contributi anche alla medicina umana?

Gli studi che si avvalgono di malattia spontanea possono sempre offrire spunti per campi diversi, e vale anche per l’oncologia comparata. L’aumentare delle conoscenze sull’oncologia del cane ha messo in luce molti aspetti di somiglianza con quanto avviene nei tumori umani, almeno per alcuni di essi, e ciò fa sì che gli studi su una specie possano poi rivelarsi utili anche per l’altra. In generale, diversi studi stanno evidenziando come l’aumentare delle conoscenze nel campo veterinario possa poi avere risvolti sostanziali anche per la medicina umana, sia per quanto riguarda per esempio sviluppo, progressione, caratteristiche molecolari e genetiche di un tumore, sia per quanto riguarda le possibili terapie.

Perché tutti questi studi fanno principalmente riferimento al cane? Non esistono trial anche, per esempio, sui gatti?

In effetti, il gatto è sempre rimasto una specie un po’ lasciata a margine da questo tipo di studi di oncologia traslazionale. Solo alcune malattie sono simili tra cani e gatti, e sono anche meno simili a quelle umane rispetto a quelle dei cani. Bisogna anche considerare che il gatto ha avuto un percorso di domesticazione molto diverso rispetto al cane e si è mantenuto molto più simile al conspecifico selvatico.

Un’ultima domanda: sappiamo che i tumori sono tra le principali cause di morte per la nostra specie a livello globale, e in aumento. È un parallelo che si osserva anche nei cani? Ci si potrebbe aspettare che, almeno nel mondo occidentale, dove appunto i cani condividono con noi gran parte del nostro ambiente e che vivono sempre più a lungo grazie alle cure veterinarie, anche i loro tumori tendano ad aumentare.

In effetti, non lo sappiamo esattamente. Negli Stati Uniti è stato lanciato nel 2022 un registro per la raccolta dati da parte di veterinari e proprietari che aiuti le stime di incidenza e prevalenza dei tumori canini. In Italia, i dati sono raccolti solo in alcuni casi e a livello regionale ( CEROVEC – Genova e Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie), e vi è molta dispersione dei dati (per esempio perché spesso i cani e gatti sono gestiti da medici veterinari liberi professionisti presso strutture veterinarie private distribuite in modo capillare sul territorio e non legate ai servizi di Sanità Pubblica Veterinaria).

A oggi, comunque, non esistono statistiche che permettano di stabilire con certezza se i casi di tumore nei cani sono in aumento rispetto agli anni precedenti, o quanto impatto abbiano il miglioramento delle diagnosi e terapia grazie all’incremento della qualità delle prestazioni professionali dei medici veterinari e la maggior attenzione da parte dei proprietari e alla loro volontà ad investire economicamente nella diagnosi e cura delle malattie.

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