Tra geni condivisi, sviluppo rapido e larve trasparenti, lo zebrafish è uno dei modelli più importanti della ricerca biomedica, tanto da essere usato per lo studio di patologie complesse e rare, oltre che per le valutazioni tossicologiche e farmacologiche
Non più lungo di cinque centimetri, con pinne trasparenti e il corpo attraversato da vivaci strisce blu o nere su uno sfondo giallastro: è lo zebrafish (il nome deriva proprio dalle strisce) o Danio rerio, uno degli organismi modello più utilizzati nella ricerca biomedica. Rispetto a specie come i ratti o i conigli, è molto meno presente nell’immaginario comune che circonda gli animali da laboratorio. Eppure, questo piccolo pesce d’acqua dolce, originario dell’Asia, rappresenta da solo più del 4% di tutti gli animali usati a scopo scientifico nel 2022, anno per il quale abbiamo i dati più recenti a disposizione.
Perché? Quali sono le caratteristiche che lo rendono così importante? In questo articolo vi presentiamo lo zebrafish, in una panoramica degli aspetti che lo rendono tutt’oggi imprescindibile per la ricerca biomedica e gli ambiti nei quali è più utilizzato.
Zebrafish, le somiglianze inattese con la nostra specie
Vale per ogni animale: sono le somiglianze tra la nostra e altre a rendere i risultati ottenuti nell’una applicabili all’altra. Questo principio di base vale anche per lo zebrafish, sebbene ci possa essere difficile immaginare le somiglianze tra noi umani e questi piccoli pesci. Eppure, si stima che circa il 70% dei geni umani abbiano un ortologo nello zebrafish, ossia un gene che ha mantenuto una funzione simile nel corso dell’evoluzione. Né va dimenticato che lo zebrafish è un vertebrato, un altro aspetto che lo porta ad avere in comune con noi alcuni organi e sistemi biologici. Tuttavia presenta anche alcune differenze sostanziali: in primis la respirazione che, essendo un pesce, avviene attraverso le branchie; e poi la mancanza di alcuni organi come le mammelle, tipiche dei mammiferi, e la prostata. Tra le similitudini più evidenti ci sono invece la presenza di un sistema nervoso centrale con un’organizzazione non tanto dissimile dalla nostra e da quella di altri vertebrati, un sistema cardiovascolare più semplice rispetto a quello umano e tuttavia con somiglianze significative, e un apparato muscolo-scheletrico con funzioni conservate rispetto a quello dei mammiferi.
Vi sono quattro ulteriori caratteristiche dello zebrafish che lo rendono molto prezioso per la ricerca. Innanzitutto, è molto prolifico: ogni coppia può deporre centinaia di uova alla settimana, facilitando gli studi su larga scala. Lo sviluppo è rapido e, nell’arco delle 24 ore dalla fecondazione, si formano gli organi principali. Oltre a questo, la maturità sessuale viene raggiunta nell’arco di tre mesi, consentendo la rapida creazione di generazioni successive. Inoltre, le piccole dimensioni dello zebrafish lo rendono facilmente stabulabile in vasche contenenti più individui adulti. Last but not least, gli embrioni dello zebrafish sono trasparenti nelle prime fasi dello sviluppo: questo consente di osservare i processi biologici in tempo reale, a livello dell’intero organismo e senza ricorrere a tecniche invasive.
Storia di un pesce modello
Lo zebrafish è arrivato nei laboratori negli anni Settanta, con gli studi condotti dal biologo molecolare George Streisinger sulla mutagenesi, cioè la possibilità d’introdurre mutazioni nel genoma di questo animale. Il suo obiettivo era studiare lo sviluppo del sistema nervoso con l’analisi genetica; all’inizio degli anni Ottanta, Streisinger descrisse anche un metodo per la clonazione dello zebrafish, uno dei primissimi vertebrati a essere clonati.
Le “luci della ribalta” per lo zebrafish come organismo modello arrivarono comunque alcuni anni dopo, grazie a una serie di studi che ne rivelarono l’utilità nella biologia e genetica dello sviluppo, nella biologia molecolare e, successivamente, in campi come la farmacologia e l’oncologia. In particolare, la biologa tedesca Christiane Nüsslein-Volhard, già vincitrice del Premio Nobel per la Medicina nel 1995 per i suoi studi sullo sviluppo di Drosophila, decise di applicare tecniche simili allo zebrafish: in pratica, creò un ampio screening genetico per identificare mutazioni che influenzavano la formazione degli organi e del corpo del pesce, permettendo di identificare geni chiave per lo sviluppo embrionale, molti dei quali conservati anche negli esseri umani.
Nel tempo, inoltre, il genoma dello zebrafish è stato studiato sempre meglio. Il progetto per il sequenziamento dell’intero genoma è iniziato nel 2001 e nel 2013 è stato pubblicato il genoma di riferimento, che ha consentito di stabilire somiglianze e differenze a livello genetico con quello umano. Peraltro, il mondo della ricerca ha imparato a manipolare bene il genoma dello zebrafish (un po’ come avviene per il topo): dai primi studi sulla mutagenesi alle attuali tecniche di editing genomico basate su CRISPR/Cas9, caratterizzate dall’elevata precisione, è stato possibile condurre svariati tipi di studi come generazione di modelli per studiare geni a funzione non nota coinvolti in patologie umane. Particolari tecniche di modifica genetica, inoltre, rendono possibile controllare l’espressione genica in modo spazio-temporale, così da poter indagare l’attività dei geni in specifici tessuti e momenti dello sviluppo.
Lo zebrafish in ricerca
In quali ambiti della ricerca è quindi più utilizzato lo zebrafish? In verità sono moltissimi. Oltre alla già citata biologia dello sviluppo, per la quale le uova trasparenti (e le possibilità di manipolazione genetica) che caratterizzano la specie offrono vantaggi sostanziali, possiamo trovare lo zebrafish in vari ambiti di studio, di cui diamo di seguito una lista sintetica.
- Modello per malattie genetiche. Lo zebrafish è usato come modello di diverse malattie genetiche umane, comprese alcune patologie rare e che, proprio per la loro rarità (e quindi gli scarsi dati a disposizione), hanno una particolare necessità di studi. Tra queste vi sono, per esempio, la sindrome di Rett (della ricerca su questa patologia abbiamo parlato qui) e la sclerosi laterale amiotrofica, per fare solo un paio di esempi.
- Studi di neuroscienze e sul comportamento. Il sistema nervoso dello zebrafish consente di condurre validi studi anche nell’ambito della trasmissione dei segnali nervosi, del funzionamento cerebrale e del comportamento. Questa specie può inoltre essere usata come modello per patologie neurodegenerative come la malattia di Parkinson e quella di Alzheimer: la relativa semplicità del suo sistema nervoso rispetto al nostro, unito alla trasparenza delle larve, è di grande aiuto perché permette di condurre esami di imaging e comportamento in tempo reale. Le tecnologie, oggi disponibili, inoltre, hanno permesso di visualizzare le reti neurali dell’intero cervello di zebrafish, un ulteriore vantaggio per gli studi di neuroscienze e sulle malattie del sistema nervoso. Tra queste sono compresi anche disturbi d’ansia e dello spettro autistico: infatti, il comportamento e la socialità di questo animale sono ben documentati.
- Modello per malattie cardiovascolari e metaboliche. Nonostante alcune differenze, lo zebrafish rappresenta un modello promettente anche per patologie metaboliche, come per esempio obesità e diabete, e disturbi cardiovascolari. Come suggeriscono alcuni studi, in questo contesto lo zebrafish è anche un valido supporto per la medicina di precisione, perché può essere usato per indagare le basi genetiche individuali coinvolte in questo disturbi, nonché gli interventi terapeutici personalizzati basati su profili genetici e molecolari.
- Oncologia. Tra le varie malattie che possono essere studiate in modo efficace nello zebrafish non mancano i tumori. Questa specie permette non solo di indagare i meccanismi di insorgenza e progressione tumorale ma anche l’efficacia dei farmaci.
- Studi di tossicologia e farmacologia. Le caratteristiche dello zebrafish consentono di usarlo per testare rapidamente sostanze chimiche, farmaci e contaminanti ambientali, fornendo dati utili sulla sicurezza e sugli effetti biologici delle esposizioni. Per esempio, il suo rapido sviluppo consente di valutare gli effetti delle sostanze chimiche sull’intero arco vitale e anche tra diverse generazioni di pesci se l’effetto della sostanza si esplica a livello germinale. Uno degli aspetti più importanti dell’uso dello zebrafish in questo contesto è la possibilità di eseguire analisi in high-throughput screening (HTS). Infatti, le piccole dimensioni delle larve consentono analisi su larga scala in piccoli volumi (come una piastra da 96 pozzetti), per testare rapidamente centinaia o migliaia di composti e valutarne la sicurezza e l’efficacia.
- Rigenerazione tissutale. Se alcune delle differenze tra noi umani e lo zebrafish sono immediatamente intuibili, altre potrebbero non essere così note. Tra queste vi è la capacità dello zebrafish di rigenerare parti del suo corpo, come per esempio una pinna amputata, ma anche il cuore. Per questa ragione, è un modello prezioso per gli studi sulla rigenerazione tissutale, così da indagare meccanismi che potrebbero essere utili anche nel trattamento di condizioni patologiche umane.
Insomma, il ruolo dello zebrafish nella ricerca è tutt’altro che di secondo piano. Tuttavia, è importante ricordare che spesso è una tessera dell’indagine scientifica: a seconda del tipo di studio, può essere necessario utilizzare anche modelli complementari (altre specie e/o modelli in vitro) che permettano di cogliere appieno la complessità dei processi indagati.