La tutela degli animali ha subito un’evoluzione significativa attraverso i secoli, influenzata da sviluppi filosofici, scientifici e giuridici. Dalle antiche riflessioni etiche sulla sofferenza animale alle moderne scoperte sulla senzienza, questo percorso lungo e complesso ha portato a una crescente sensibilità sociale e legislativa
Che la preoccupazione nei confronti del benessere degli animali sia profondamente cambiata nel corso del tempo è evidente. E, almeno in parte, alcune ragioni di questo cambiamento possono essere intuitive. Per esempio, soprattutto nei paesi a più alto reddito, dipendiamo molto meno dagli animali: non è il gatto a proteggere gli alimenti dai topi perché ci pensano i ratticidi, per la guardia un antifurto può prendere il posto del cane, lo spostamento in automobile è più efficiente di quello a cavallo eccetera. Insomma, gli animali non sono più solo risorse, strumenti per il lavoro o per l’alimentazione, e possiamo permetterci di considerarli con occhi ben diversi da quelli con cui li guardavamo qualche secolo fa.
Ma anche le scoperte scientifiche hanno dato (e danno sempre di più) un notevole contribuito a questa aumentata sensibilità per il benessere animale, evidenziando come anche specie di animali non umani mostrino comportamenti altruistici, forme di senso di giustizia, capacità di usare gli strumenti e via via varie abilità cognitive ed emotive che evidenziano più le vicinanze che le distanze tra noi umani e gli altri animali. Non ultima la capacità di provare emozioni, compresi dolore e sofferenza. Questi risultati che ci mostrano, biologicamente parlando, la nostra continuità con gli animali non possono non farci riflettere.
Tuttavia, sarebbe sbagliato considerare questa maggior sensibilità nei confronti degli animali solo frutto di anni recenti perché ha, invece, radici antiche che ne hanno influenzato il percorso: ne parliamo con Simone Pollo, filosofo e bioeticista dell’Università Sapienza di Roma.
Tutela degli animali: le origini filosofiche
«Dal punto di vista filosofico, quella dello status degli animali è una questione antica. Nel mondo occidentale è presente fin dalle origini della filosofia stessa: per esempio, già i pensatori della scuola pitagorica, o trattati di Plutarco, per citare i più famosi, sostenevano un’alimentazione vegetariana. Spesso per un intreccio di ragioni che comprendevano la sobrietà della dieta e la purezza dello spirito, ma tra le quali erano quasi sempre presenti anche il principio della compassione e il rifiuto alla crudeltà», spiega Pollo.
Di fatto, gli animali hanno accompagnato tutto il pensiero filosofico in modo continuo – anche se molto spesso incentrandosi sulle differenze tra la nostra e le altre specie. Una visione molto nota (ma oggi del tutto smentita dalle conoscenze scientifiche) fu quella di Cartesio che, nella sua divisione del mondo tra res cogitans e res extensa, poneva gli animali non umani esclusivamente in quest’ultima realtà: inconsapevole e priva di sensibilità; sostanzialmente, macchine che rispondevano agli stimoli esterni. La mente, cioè la res cogitans, sarebbe stata prerogativa esclusiva degli esseri umani.
Nonostante questa presenza continua degli animali nel pensiero filosofico, però, è solo negli ultimi due secoli e mezzo circa che si stabiliscono le basi di quella che è la sensibilità (sociale, ma anche politica e legislativa) che conosciamo oggi. «Due sono gli aspetti principali del cambiamento. La prima è una trasformazione culturale del sentire, ma anche nella filosofia, che, a partire dal XVIII secolo, inizia a riconoscere il valore morale del piacere e della felicità, e il disvalore del dolore e della sofferenza. È un forma di discontinuità con l’etica – in particolare quella cristiana – dei secoli precedenti, che dava poco valore alle emozioni», spiega Pollo.
È l’epoca di Jeremy Bentham, uno dei primi e più noti esponenti della corrente filosofica dell’utilitarismo – ma anche dei diritti degli animali: «La domanda non è: possono ragionare? E nemmeno: possono parlare? Ma piuttosto: possono soffrire?», scriveva il filosofo nel 1789. Pur senza per questo porsi contro ogni forma di uso degli animali, la filosofia di Bentham è in qualche modo fra le idee che hanno ispirato i primi movimenti protezionisti, nati nel XIX secolo. È infatti nel 1824 che viene fondata la Royal Society for the Prevention of Cruelty to Animals (RSPCA) in Inghilterra, la prima organizzazione per la protezione degli animali al mondo e tutt’ora in attività. Sempre in questi anni, e sempre in Gran Bretagna, nascono anche le prime leggi per la tutela degli animali.
Il percorso dal XIX secolo
Ma quel percorso di sensibilità crescente non è solo filosofico. Ha, invece, anche un’importante contributo scientifico nella teoria dell’evoluzione di Darwin, nella metà dell’’800. «La rivoluzione scientifica del darwinismo tolse ogni plausibilità alla possibilità di separare gli esseri umani dagli animali. E gli appunti nei suoi taccuini indicano come già lo stesso Darwin fosse consapevole delle conseguenze morali e politiche che la sua teoria avrebbe potuto avere», spiega Pollo. Ponendo tutti gli esseri viventi in uno stesso continuum di vita, accomunandoli con un antenato condiviso, la teoria dell’evoluzione di Darwin accorcia in modo significativo le distanze tra l’essere umano e le altre specie e rende complesso, anche da punto di vista scientifico, sostenere rapporti di superiorità dell’una verso le altre.
La teoria di Darwin non è quindi un motore solo scientifico; in effetti, penetra anche nel pensiero filosofico più recente. «In particolare, nella seconda metà del XX secolo nasce il concetto di antispecismo, cioè il rifiuto della discriminazione in base alla specie: dopo Darwin, hanno iniziato a sostenere alcuni filosofi a partire dagli anni Settanta, l’appartenenza di specie non poteva essere un criterio valido per la discriminazione e le diseguaglianze. È un concetto fondamentale, perché porta definitivamente la questione animale nel terreno della politica e dà l’avvio all’animalismo come lo conosciamo oggi. Peter Singer, uno dei principali rappresentati di questa filosofia, afferma infatti che la giustizia nella società si realizza cercando di realizzare l’eguaglianza – anche tra le specie», continua il Pollo.
Gradualmente, il mutamento di prospettiva nei confronti degli animali ha fatto sempre più passi avanti nella società. Uno degli elementi più significativi di questo percorso è stato il Trattato di Lisbona, che ha riformato la struttura istituzionale e il funzionamento dell’UE e, nell’articolo 13, ha reso per la prima volta giuridicamente vincolante a livello europeo il riconoscimento della senzienza animale (Nella formulazione e nell’attuazione delle politiche dell’Unione nei settori dell’agricoltura, della pesca, dei trasporti, del mercato interno, della ricerca e sviluppo tecnologico e dello spazio, l’Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti, rispettando nel contempo le disposizioni legislative o amministrative e le consuetudini degli Stati membri per quanto riguarda, in particolare, i riti religiosi, le tradizioni culturali e il patrimonio regionale).
«Il cambiamento di prospettiva, motivato anche dalle conoscenze scientifiche, che vediamo e viviamo nei confronti degli animali è un processo di lunga data, ma non certo terminato. È ancora in corso e non possiamo sapere cosa implicherà a livello sociale e politico. Di certo ci ha portati ad avviare un processo de-reificazione delle altre specie, ovvero di non considerarli semplici cose a nostra disposizione, essendo esseri senzienti. Se ciò non significa certo mettere in pratica una forma di antispecismo forte e non implica il garantire loro i nostri stessi diritti fondamentali, pur tuttavia implica il riconoscere la necessità di assicurarne il benessere», conclude Pollo. «La normativa EU sulla tutela degli animali usati a fini scientifici è proprio un esempio dell’avanzamento di questa de-reificazione degli animali, perché stabilisce come possano essere utilizzati solo in contesti giustificati – quale la promozione dell’avanzamento scientifico, per il benessere nostro, delle altre specie, dell’ambiente – e mai in modo del tutto libero e arbitrario».