La proroga alla sperimentazione animale che non risolve nulla e mette in difficoltà la ricerca.
L’articolo di Giuliano Grignaschi uscito su LaStampa.it il 4 marzo scorso
Partiamo dall’inizio. La normativa italiana, il decreto legislativo 26 del 2014, che ha recepito la direttiva europea (la 63 del 2010) su sperimentazione e benessere animale, è difforme dalle leggi degli altri Stati europei ed inutilmente più restrittiva. Per questo motivo l’Italia è in procedura di infrazione da parte della Commissione Europea e potrebbe anche essere deferita alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Tra le restrizioni che esistono solo in Italia c’è l’impossibilità di sperimentare anche su sostanze d’abuso e di effettuare xenotrapianti d’organo. Le prime comprendono l’alcol, tutti i tipi di droghe, comprese quelle sintetiche che fanno strage nelle discoteche e, lo ricordiamo, anche i farmaci che superano la barriera encefalica, tra cui quelli oncologici. I secondi riguardano ad esempio le valvole cardiache biologiche, che sono di origine animale. Stante la carenza di cuori umani per i trapianti le valvole cardiache vengono dal maiale e consentono funzioni vitali.
Per evitare le condanne e per non mettere i ricercatori italiani in condizioni di disparità nei confronti dei loro colleghi europei l’Italia ha – dal 2014 ad oggi – rimediato ad una legge sbagliata mettendoci la classica “toppa”, ovvero praticando una moratoria, cioè dando il via a proroghe triennali della possibilità di sperimentare anche su queste sostanze.
E arriviamo ai giorni nostri, con l’approvazione del decreto “Milleproroghe” e la conseguente proroga alla sperimentazione animale da parte del Parlamento italiano, che comprende al suo interno anche la proroga – si badi bene – di un solo anno della possibilità di sperimentare sugli animali, proprio con una moratoria ai divieti presenti solo nella legge italiana che regolamenta la protezione degli animali utilizzati in ricerca.
Risultato, questa proroga ad un divieto che sarebbe scaduto il primo gennaio scorso, non risolverà nulla perché tra dieci mesi saremo di nuove qui a discutere e nel frattempo la ricerca italiana sarà diventata ancor più il “cigno nero” in Europa, dal momento che rischia seriamente di essere esclusa da bandi di ricerca europei nel settore, che hanno un orizzonte almeno triennale.
Nel frattempo si sono alzate e si alzeranno ancora le grida dei cosiddetti “animalisti” che invocheranno il mantra dei cosiddetti metodi alternativi come risposta all’utilizzo degli animali per la sperimentazione. Peccato che tali metodi, peraltro sviluppati proprio dai vituperati ricercatori, siano complementari alla sperimentazione animale e non alternativi alla stessa.
Infatti, la proroga alla sperimentazione animale contenuta nel “Milleproroghe” è la prova evidente del fatto che ad oggi non esistono altri metodi se non il modello animale per affrontare anche le problematiche relative cosiddette sostanze d’abuso. Questo atto dimostra, purtroppo, da un lato che non esistono metodi alternativi alla sperimentazione animale in questi ambiti e dall’altro la scarsa volontà mostrata fino ad oggi dal Ministero della Salute di sostenere la comunità scientifica contro l’ideologia “animalista”. È disorientante, infatti, che il Ministero si rivolga ai propri ricercatori nei momenti di emergenza dettati dal “Coronavirus” salvo poi non ascoltare le istanze della ricerca scientifica per garantire continuità ed eccellenza. Dobbiamo invece assolutamente uscire da questo perverso meccanismo delle proroghe continue, recepire finalmente in maniera corretta la Direttiva Europea e riallineare la nostra normativa a quella vigente in tutta Europa.
Concludiamo ricordando che sia la Direttiva Europea che il suo recepimento italiano già oggi prevedono che, in presenza di metodi alternativi, non sia possibile autorizzare l’utilizzo di modelli animali.
Quindi questi specifici divieti sono assolutamente privi di razionale scientifico, non comportano un miglioramento delle condizioni degli animali, bloccano il lavoro dei nostri ricercatori e mettono inutilmente in difficoltà la scienza biomedica italiana nei confronti degli altri Paesi europei. Più in dettaglio, i ricercatori si troveranno in condizioni di inferiorità e inaffidabilità nei confronti dei colleghi europei, l’Italia rischia di vedersi negato l’accesso ai fondi comunitari rendendo ancora più difficile la situazione della nostra ricerca, di tanti lavoratori e anche di alcuni dei 1600 nuovi ricercatori che si spera possano essere reclutati. Non solo, scoraggerà anche il rientro dall’estero di diversi ricercatori e ne spingerà altri, come già avviene, ad abbandonare il Paese.
Ricordo che neanche l’ultimo grande successo della ricerca italiana, l’isolamento del coronavirus, sarebbe stato possibile senza le metodologie messe a punto anche grazie alla sperimentazione animale.
Giuliano Grignaschi
Direttore Research4Life